Perché Gianfranco Fini deve dirci la sua sull’incredibile storia della casa di Montecarlo? Non si tratta né di un gossip né di un dettaglio irrilevante: proviamo a spiegare perché. La rottura del Pdl e la piccola guerra civile a cui stiamo assistendo, non è un minuetto di Palazzo, e nemmeno un riposizionamento gattopardesco di poteri. No. Come abbiamo intuito e scritto da mesi, il racconto sciamanico del berlusconismo si è infranto, il carisma del Caimano scema con la stessa velocità con cui si gonfiano le borse sotto i suoi occhi e l’ordito di rughe sulla sua fronte rimodellata.

Un fatto è ormai certo: il tempo delle illusioni e dei miracoli da campagna elettorale è finito. Di pari passo, mentre qualcuno ironizzava sui finiani, noi li abbiamo presi terribilmente sul serio spiegando i motivi politici da cui derivava la loro forza, narrandoli nella loro impresa di insurrezione morale senza pregiudizi, a tratti persino con simpatia.

Proprio per questo – una volta ufficializzata la rottura – la reazione dei lanzichenecchi azzurri, contro di loro, sarebbe stata spietata. Bastonature dei tiggì di regime, agguati, embargo mediatico. Malgrado questa certezza, le notizie restano notizie. È una notizia (data da Il Giornale) che un appartamento di inestimabile valore, donato da una ricca nostalgica per passione ideale, finisca, attraverso strane triangolazioni off shore al signor Tulliani, cognato del presidente della Camera. Lo è ancora di più, quello che ci racconta Libero: la cessione dell’immobile sarebbe iscritta nel bilancio di An per soli 67 mila euro. Una vendita di favore? Un pasticcio? Un atto di familismo immobiliare? Di fronte a questi dubbi Fini può dare qualsiasi spiegazione. L’unica cosa che non può fare – se vuole restare credibile – è tacere.

Da Il Fatto Quotidiano del 1 agosto 2010

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