Anche se oppressi dal caldo, non possiamo non cominciare dal Piemonte dei grandi vini rossi, dalle Langhe: colline maestose e fascinose lungo cui corrono le viti di Nebbiolo, cioè il più fine e longevo vitigno a bacca rossa d’Italia, non lontano dalle Alpi Marittime e dall’Appennino Ligure.
L’azienda famigliare Cortese produce vini emblematici della denominazione Barbaresco. Vini eleganti, profumati, al contempo succosi e mai pesanti, che sdegnano gli artifici volti ad assecondare un preteso “gusto del mercato” e non presentano dolcezze o amarezza pacchiane. Essi rispettano, rispecchiano, il vitigno Nebbiolo e la splendida area in cui viene coltivato. Oltre a rispettare il palato di chi li beve.
Giuseppe Cortese, oggi 69 anni, ha smesso di vendere uva e ha cominciato a imbottigliare vino nel 1971.
L’azienda possiede 8 ettari di vigna, metà di cui in uno dei vigneti più celebri del comune di Barbaresco: il Rabajà. In tale cru di marne calcareo argillose con esposizione a sud-ovest e sud, l’azienda ha vigne di circa 40 anni. Alcuni filari arrivano a 63 anni e da essi si produce, solo nelle annate migliori, un Barbaresco Riserva. Il figlio di Giuseppe, Pier Carlo si occupa della vinificazione che non differisce da quella del padre: fermentazione in acciaio (sin dai primi anni Ottanta) e lunga macerazione del mosto sulle bucce, maturazione del vino in botti grandi per 20-40 mesi. Poi l’affinamento in bottiglia per almeno un anno.
Il Barbaresco Rabajà 2007 (19 euro) è gustoso, meno austero e corposo del 2006, ma più leggiadro e già piacevole a bersi. Il Barbaresco Rabajà Riserva 2004 (40 euro), che uscirà a gennaio, è delizioso: fondato sulla combinazione di profondità e freschezza così come il Riserva 2001 (40 euro, ancora in vendita): entrambi saranno longevi. Più semplice, ma altrettanto buono e varietale, il Langhe Nebbiolo 2008 (9 euro).
L’azienda vinicola Cortese e i suoi autentici Barbaresco rassicurano: specie quando si è incerti del futuro dei vini d’uno più eccellenti produttori di Barbaresco, com’anche di Barolo, Bruno Giacosa: speriamo che Giorgio Lavagna, enologo dell’azienda Giacosa da due anni, sappia continuare quello è stato fatto per decenni. Le Langhe, L’Italia e l’estetica gastronomica in generale, non possono permettersi la perdita dello stile modello di Giacosa.