Spesso mi è capitato di pensare a un mondo senza rom. Cosa accadrebbe in Italia o in Francia o in Ungheria se, a seguito di un referendum invocato a furor di popolo, si cacciassero via tutti gli zingari? Il risultato del referendum sarebbe a senso unico: “Maggioranza bulgara” direbbe il Minzolini di turno. Certamente il giorno dopo ci sarebbero grandi feste in piazza; tutti a festeggiare la liberazione dagli zingari. In ogni canto spunterebbero centri di ristoro gratuiti per godere il grande evento e nelle fontane la gente a fare il bagno come se la nazionale avesse vinto il mondiale di calcio. Un’apoteosi di prodotti culinari nazionali, in barba a quegli immigrati zingari che attentano anche al nostro patrimonio cultural-gastronomico. Birra, salsicce e polenta di qua, patè de foie gras, camembert e champagne nelle piazze d’oltralpe.
Terminata poi la festa resterebbe solo gioia e sollievo. Eppure, eppure sono certo che dopo meno di un anno qualcuno piangerebbe la dipartita degli zingari. Certo i commercianti di camper e roulotte avrebbero un duro contraccolpo, ma più di loro, il vuoto lo sentirebbero i politici. Non essendoci più zingari in circolazione si dovrebbero iniziare a preoccupare davvero dei problemi che affliggono l’Italia e la Francia. Non avrebbero più a disposizione un gratuito e inerme capro espiatorio su cui addossare la responsabilità della propria incapacità ad affrontare un mondo in rapido cambiamento. Gli zingari nella vita dei politici hanno una vitale importanza: servono a far cadere governi e a metterne in piedi di nuovi, a spostare l’attenzione dell’elettore dandogli un contentino. Così fece a suo tempo anche Hitler cui degli zingari non importava nulla, ma attraverso il loro sacrificio poteva tenere a bada e soddisfare il cittadino medio. E non importa se oggi, accusando un’etnia intera di propensione alla delinquenza, si sia tacciati di “istigazione all’odio razziale”. Fa pubblicità in un periodo in cui il razzismo è tornato a far prendere voti.
Il ministro degli interni italiano Roberto Maroni, un paio d’anni fa, chiedeva le impronte digitali dei bambini rom, oggi gli fa eco il suo omologo francese Brice Hortefeux che trova sorprendente la cilindrata di certe automobili che trainano le roulotte degli zingari.
Al primo verrebbe da chiedergli conto del nesso che collega un’idea così spregevole con le tanto sbandierate radici cristiane che ostenta il suo Partito. Al secondo verrebbe da ricordargli che è altrettanto sorprendente estendere presunte colpe personali su un popolo intero. E ancora più sorprendente è che il governo Sarkozy si accorga solo ora, in un periodo di scandali politici (affare Bettancourt in testa) e crisi economiche, di aver abbandonato degli esseri umani, in molti casi di cittadinanza francese, in umilianti bidonville.
Sarkozy vuole che entro quest’anno spariscano le bidonville. Detta così sembra un’idea di straordinaria civiltà, ma di questi “ultimi” che abitano in misere baracche, che ne sarà? Anche loro dovranno sparire? Forse il presidente francese pensa di eliminare la povertà spostando il problema oltre confine? Non sa che il povero, messo alla porta da un governo, rientra dalla finestra dopo che un altro governo, con simili programmi, lo avrà a sua volta messo alla porta? Ma forse Sarkozy vuole solo smantellare le bidonville senza occuparsi di risolvere il problema che hanno i rom perché, risolvendolo, non avrebbe più carte da giocare per distrarre l’opinione pubblica sul suo operato. E allora: “uomo di ferro” si, ma sprovveduto, no.
Il problema non è il povero, ma la povertà. In un mondo migliore sarebbe una frase banale, eppure oggi vale ancora la pena ricordarlo a chi in campagna elettorale viene a chiedere il voto in cambio della sua sedicente competenza a risolvere le difficoltà in cui tutti noi siamo costretti a muoverci. Povertà compresa.