Negli ultimi dieci anni la figura del degustatore ha ottenuto una popolarità che mai aveva avuto nella storia. Non è più coppiere, come Ganimede, mitologico antesignano dei sommelier. Non ha più nemmeno l’onere, invero rischioso, di assaggiare il vino per impedire avvelenamenti. Bensì, nell’attuale società della Kulturindustrie ammuffita, che è piuttosto Zivilisationsindustrie*, non c’è ombra di benestante che non sia un degustatore.
È sufficiente un corso o un “master”, qualche centinaio o migliaio di euro, due mesi o al più un anno: ed ecco formato un degustatore! D’altronde la degustazione è ormai una disciplina, che si può insegnare a chiunque. Basta poi essere un degustatore per fare il critico. Si ha pure occasione di bere gratis! Pertanto, in Italia, unico caso nel mondo, si hanno una decina di guide vinicole.
In quanto, oggi, un vino ha bisogno più di essere celebrato che di essere buono.
Inevitabile, quindi, stiparsi nelle sale di degustazione: sciamando, sgomitando fra un tavolo e l’altro per un Brunello o un Soave; annusando e assaporando anche gli aromi del vicino che getta un’occhiataccia in quanto scavalcato nella fila. Ma, basta ingurgitare un poco, ed è l’oblio… o ci si avventa sul tavolo del pane e formaggio, pacchiando e afferrando tutto ciò che si riesce.
Chi non ingurgita poi sputa, o almeno dovrebbe. Se almeno si insegnasse l’arte dello sputacchio nelle scuole di degustazione! Si eviterebbe a tutti di correre dei rischi: incappare negli sputi guizzanti di degustatori professionisti, la cui fatica del mestiere impedisce di avvicinarsi a una sputacchiera.
Poco importa che sul nostro braccio sia finito un “nettare” da 100 euro.
Inoltre si dovrebbe finalmente stabilire, ex cathedra, una metodologia fisiologica (o fisiognomica) per “masticare il vino”: cioè la fase gustativa della degustazione professionale. Almeno come misura contro l’inquinamento da rumore. Difatti, in autorevoli giurie di degustazione, il silenzio degli astanti è rotto da un suono molesto e continuo, alquanto indecoroso. Alcune bocche non possono astenersi dal fare rumorosi gargarismi col vino, per valutarne la qualità.
Sommelier, enologi, venditori, rappresentanti, pr, importatori, articolisti, pennivendoli, critici, blogger, forumisti… sono tutti degustatori. Dimenticavo gli aspiranti. Ma c’è vino per tutti?
Di certo ci sono manifestazioni per tutti, giacché sono prolificate quanto i degustatori. Ma non quanto i bevitori ordinari, che diminuiscono vieppiù. Un rinomato viticultore dice di essere costretto a tenere da parte circa quaranta bottiglie l’anno soltanto per accontentare i vari degustatori. Poi è costretto a tenere altre bottiglie per guide o concorsi o fiere, ma anche per riempire il portabagagli di opinion maker. Infine deve contare le bottiglie che intende riporre nella sua enoteca, per considerare l’evoluzione dei vini, magari assieme agli stessi degustatori che ne hanno ricevuto un acconto anni prima.
È necessario tutto questo?
Il direttore di una storica azienda vinicola non ha dubbi: “ormai oltre ai giornalisti, si deve contentare anche quelli che animano siti internet. Non c’è più distinzione. In questo modo, ogni annata, avrà la sua buona recensione, in un paese o in un altro. Se non si finisce in una guida, si finirà in un’altra”.
Così, per anni, diversi buontemponi hanno peregrinato per cantine e litri di vino affermando di scrivere per il Gambero Rosso, ossia il più importante gruppo editoriale enogastronomico d’Italia. Poi si è scoperto che i buontemponi scrivevano sul “forum” del sito internet del Gambero Rosso. E non sulla rivista o sulla guida.
Ne consegue domandarsi se questo sia il futuro della degustazione e specie della critica: essere un passatempo, altrimenti detto passione, fondato sul dilettantismo e sul volontariato. Chi pratica volontariato permanente, nella critica del vino, impedisce lo sviluppo di un mestiere remunerativo: dunque di un mestiere che dovrebbe fondarsi, oltre che sull’esperienza, sull’indipendenza di giudizio. Infatti, se il critico non può camparsi facendo il critico, è nel migliore dei casi costretto anche a fare il venditore di vino, il rappresentante o il pr. Nel peggiore dei casi è però costretto a vendere se stesso e i propri giudizi, che non bastano a camparsi. Di che campa uno che degusta i vini per una guida o una rivista? Non è insolito che finisca per sputare sentenze, anziché vini, dettate dall’inesperienza: “manca la pipì di gatto fra gli aromi di questo Sauvignon, non è tipico!”.
Viene da parafrase Oscar Wilde: “Quelli che, odorando un vino, chiamano pipì di gatto la pipì di gatto, dovrebbero essere costretti a berla!”