Può un elettore di sinistra auspicare, desiderare, tifare per la nascita di un partito di centro che, adeguatamente robusto (15–25% dell’elettorato), riesca a scompaginare l’attuale quadro politico e a far saltare il bipolarismo che ha sancito il dominio berlusconiano? A parere di chi scrive, può e dovrebbe, se praticasse – in politica ma anche nella vita di ogni giorno, come ci impone la realtà quotidiana e come ci insegnano i maestri – il radicalismo/pessimismo nell’analisi e il gradualismo/ottimismo nel fare.
Andrebbe subito rilevato, come premessa, a scanso di equivoci pur praticati e ampiamente strumentalizzati, che da tempo immemorabile – diciamo dalle ultime sciagurate e torbide imprese dei “terroristi rossi” – il panorama politico italiano non contempla posizioni “rivoluzionarie”. Nella nostra consolidata democrazia parlamentare, pienamente inserita nel contesto europeo e occidentale, e nei fenomeni economici, sociali, culturali e mediatici della globalizzazione, in quanto a “ideologia” siamo tutti, inevitabilmente, riformisti a sinistra o se si vuole nel centrosinistra (solo a destra si registrano tentazioni e pratiche eversive di diversa natura, quali debbono essere considerati il berlusconismo affaristico, immorale e anti-istituzionale e il bossismo che si nutre di razzismo, egoismo territoriale e strumentalizzazione dell’istinto a pretendere soluzioni individuali anziché cercare soluzioni collettive ai problemi della società). Lo fu Berlinguer, lo è stato Bertinotti insieme ai suoi movimentisti più sfrenati, lo è Ferrero, lo è Vendola. Ciò che fa la differenza sono i diversi gradi di adeguatezza o inadeguatezza delle soluzioni e delle “riforme” propugnate, la prevalenza del criterio dell'”efficienza del sistema” su quello della giustizia sociale o di questo su quello, e la moralità dei comportamenti.
Premesso ciò – e rilevato lo stato di annichilimento e di impotenza (rispetto alla possibilità di influire sostanzialmente nella composizione e ristrutturazione della rappresentanza parlamentare) in cui sono stati ridotti i cittadini dalle pratiche del potere, da un sistema mediatico che ha manipolato e annullato persino i meccanismi di base che portano alla formazione di una “opinione pubblica” e da leggi, normative e pratiche elettorali che consentono alla classe politica la pressoché totale emancipazione dai doveri della “delega” – non si può non convenire che, nei tempi brevi, le speranze di una via d’uscita dall’attuale situazione vanno coltivate, oltre che con i comportamenti “virtuosi” imposti dall’Europa, nell’area delle cosiddette contraddizioni (e di qualche oggettiva opportunità) interne al sistema.
Sono solo queste contraddizioni che possono, a breve, sgombrare il campo dall’anomalia-Berlusconi. Anomalia perché outsider: né figlio naturale della società reale né figlio dei “poteri forti”. Un’anomalia, certo, utilizzata dai poteri forti: inizialmente per tenere a bada la sinistra e conservare i propri privilegi e rendite, e poi come catalizzatore della insoddisfazione e delle proteste, della indignazione e della rabbia. Le anomalie servono anche a questo: a distrarre l’attenzione e a impedire, soprattutto, di prendere coscienza e di mettere mano ai problemi veri che angustiano il Paese, di individuare e di combattere contro le ragioni strutturali delle ingiustizie, della separatezza fra cittadini e potere, e della corruzione che hanno consentito l’attecchimento e tengono in piedi la centralità di Berlusconi nel sistema. Non essendo in campo una vera alternativa, vince il più “bravo”, il più spudorato, il più ricco (è provato, del resto: le sole due volte che è stato opposto a Berlusconi la candidatura di Prodi, modesta ma “alternativa” perlomeno in termini di credibilità, Berlusconi è stato battuto).
La conclusione è che la prima cosa da fare – per affrontare i problemi strutturali del Paese, le manovre dei “poteri forti”, la corruzione della classe politica, l’inesistenza di una politica economica e sociale degna di questo nome – occorre rimuovere l’anomalia-Berlusconi. Far cadere questo governo. Mettere in campo forze diverse. Far saltare il bipolarismo. Riavvicinarsi, almeno, a procedure elettorali democratiche. E questo è possibile per la stessa natura dell’outsider: utilizzato e utilizzabile dai poteri forti, ma giocatore in proprio che tende al protagonismo e ad emanciparsi, oltre che dalle regole della democrazia, dalla stessa subalternità ai poteri forti. Vorrebbe trattare con essi – “forte del consenso” – da potenza a potenza, anzi da prima potenza perché “legittimata” democraticamente. E questo irrita i poteri forti.
Il bipolarismo salta – visto e considerato che ci si ostina a tenere in piedi il “non partito” Pd, figlio e produttore di bipolarismo – se nasce la terza forza, il mitico partito di centro. Sì, quello tenuto sino ad oggi sospeso per un filo da Casini (e Caltagirone), vagheggiato dai fans di Montezemolo, atteso dalla gerarchia vaticana, perseguito nel suo piccolo da Rutelli e ora sostanzialmente varabile dopo la rottura di Fini con Berlusconi.
Certo, poi ci saranno i problemi, e quanti, posti da tale variegata compagnia. Fra gli altri, i problemi tradizionalmente posti dai “poteri forti”. Ma oggi, qui ed ora, il problema è un altro, e che problema! E’ Berlusconi. Perciò è possibile tifare appassionatamente e congiunturalmente per la formazione, finalmente, di questo benedetto partito di centro. Ma si prendano anche De Benedetti, anche il Vaticano, anche Franco Marini se fosse necessario! Non solo così si potrà fermare l’infame degrado istituzionale, morale e affaristico in atto, prima che la nostra democrazia venga ridotta non in regime ma in macerie e il Paese definitivamente alle pezze. Non solo lo scontro sarà più chiaro. Ma sarà finalmente democrazia. Zoppa, magari; quasi certamente ingiusta. Con le clientele. Ma democrazia. E, non è escluso, con una legge elettorale che consenta ai cittadini di votare e, votando, di cambiare la composizione della rappresentanza parlamentare. Almeno quella. Il resto, se potrà venire, verrà.
Insomma, si può (anzi, non si può non) essere d’accordo con Maurizio Viroli: “L’emancipazione dal sistema berlusconiano non avverrà quando al governo ci saranno vecchi alleati insieme ad accomodanti oppositori, ma quando a guidare la Repubblica ci saranno donne e uomini che, alla domanda ‘dove eravate voi?’, potranno rispondere ‘dall’altra parte. Sempre!'”. Ma per arrivarci – per tentare di arrivarci – forse c’è da augurarsi, qui ed ora, che il governo della malavita venga comunque sostituito. Meglio se da gente nuova, pura e casta. Ma, per intanto, pure da “vecchi alleati insieme ad accomodanti oppositori”. Nessuno potrà mai dimostrare che Fini o Casini o Montezemolo o D’Alema o Veltroni non siano meno peggio – come governanti degli interessi collettivi – di Berlusconi.