Formigoni ammette i suoi contatti con gli uomini della nuova P2. E le pressioni fatte perché la “Lista per la Lombardia” venisse riammessa alle ultime elezioni regionali. “Ero vittima di un’ingiustizia – racconta il presidente della Regione Lombardia, sentito come testimone dai pm di Roma -. La situazione era molto grave e io non sapevo che cosa fare. Per disperazione mi sono rivolto a tutti. Ho bussato a molte porte”. Come a quella di Arcangelo Martino, finito in carcere con Flavio Carboni e Pasquale Lombardi.
Formigoni dice di non sapere che la sua richiesta di aiuto ha attivato la presunta loggia segreta: da Martino, la palla passa a Lombardi e Carboni, per poi arrivare al sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo. Prima bisogna intervenire sulla Corte d’Appello di Milano che deve esprimersi sul ricorso per la riammissione della lista. Il ricorso non passa e allora bisogna fare pressioni sul ministero perché invii gli ispettori in tribunale. Queste le tesi degli inquirente, ma Formigoni dice di non saperne nulla, nonostante in una conversazione intercettata chieda a Martino “Ma l’amico, l’amico Lombardi è in grado di agire?”.
È convinto “di aver fatto tutto secondo le regole”, il presidente. E, se alcune pressioni le ha fatte, queste erano “tutte legittime”. Ma perché rivolgersi proprio a Martino? “Sapevo che lui aveva molti amici magistrati. Speravo mi potesse aiutare, magari consigliarmi una strada di uscita”. Del resto la loro amicizia “ha origini lontane”. Un’amicizia di tanti anni quindi, che però non sono bastati a Formigoni per accorgersi che Martino è anche un imprenditore del settore sanitario con appalti in Lombardia. Perché “non ne abbiamo mai parlato”, si giustifica il governatore.