Ormai è ufficiale. L’ipotesi di una nuova mostruosa crisi immobiliare, capace di sconvolgere l’economia, non è più materia esclusiva degli analisti più paranoici. E’ diventato uno scenario credibile, magari non troppo scontato, ma abbastanza concreto da condizionare i mercati e minare il timido processo di ripresa globale.

La notizia, rivelata oggi in esclusiva dall’agenzia Bloomberg, è che i cinesi si stanno preparando al peggio. Nel mese scorso, ha spiegato una fonte anonima di Pechino, le autorità di regolamentazione hanno ordinato una nuova serie di stress test, gli ormai celebri esami di solidità con i quali si verifica la capacità di tenuta delle banche di fronte a scenari virtuali negativi.  La novità però è data dall’entità dell’allarme. I test dell’anno passato avevano preso in considerazione, quale peggiore scenario, un calo dei prezzi degli immobili pari al 30%. Ma negli esami di oggi tale percentuale è salita al 60%. Una visione molto pessimistica. Che però non induce a dare per scontato un simile collasso.
Questi numeri servono però a dare agli osservatori una notizia: anche la Cina teme la crisi economica. A terrorizzare i mercati c’è l’ipotesi di un più volte sussurrato “Big one”, lo scoppio della bolla speculativa immobiliare cinese. Un evento di questo genere sarebbe in grado di far ripiombare l’economia mondiale in una nuova recessione da affrontare, però, portandosi questa volta sulle spalle il peso di una crisi non ancora risolta oltre al macigno dello stato conti pubblici. I dati non sono certo incoraggianti. Nello scorso anno il mercato cinese è stato invaso da un’ondata record di nuovi prestiti per un valore complessivo di 1.400 miliardi di dollari. Nel primo trimestre del 2010 il prezzo medio delle abitazioni cinesi è aumentato del 68% rispetto al medesimo periodo dell’anno passato.

Le banche, nel frattempo, affrontano rischi crescenti. Nelle scorse settimane l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha lanciato l’allarme sulla crescita dei prestiti non performanti, ovvero dei crediti non remunerativi o, nella peggiore delle ipotesi, non recuperabili. Un fenomeno che avrebbe indotto Pechino ad abbassare per il 2010 il tetto massimo sul credito erogato. Qualcuno, a cominciare dall’ex capo economista del Fondo monetario internazionale (Fmi) Kenneth Rogoff non esita a parlare di scoppio imminente. Un simile collasso, ovviamente, determinerebbe un rallentamento della crescita di Pechino generando una contrazione della domanda capace di pesare sul comparto industriale delle economie più sviluppate. La famosa fase negativa della temuta ripresa “a W” cesserebbe così di essere una semplice ipotesi assumendo chiaramente un volto.

Per riportare un po’ di serenità servirebbero forse risultati incoraggianti dai temuti stress test di Pechino ma i dubbi recentemente espressi in Europa sull’utilità effettiva di questo tipo esami alimentano nuove paure. E il rischio è che alle previste rassicurazioni dei Cinesi, presto o tardi, non creda più nessuno.

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