Due mesi fa, a Londra, presso la Southwark Crown Court, il giudice Saunders aveva sentenziato che a quattro parlamentari, tre laburisti ed un conservatore, formalmente accusati di furto nell’ambito dello scandalo per i rimborsi spese gonfiati, non andava applicata l’immunita’ parlamentare, che gli avrebbe consentito di essere giudicati dai colleghi del Parlamento e non in un normale tribunale. Venerdi’ scorso, dopo il ricorso dei quattro, e’ arrivata la sentenza di rigetto della Corte d’Appello, composta da tre dei piu’ alti magistrati britannici.
I giudici, a sostegno della loro decisione, citano decine di casi, alcuni dei quali vertono sull’interpretazione da dare alle parole “proceedings in Parliament” e “place out of Parliament“, contenute nell’articolo 9 del Bill of Rights (cfr.: “Freedom of speech and debates; or proceedings in Parliament ought not to be impeached or questioned in any court or place out of Parliament”, trad.: “la libertà di parola e di discussione o le attività del Parlamento non possono formare l’oggetto di accuse o contestazioni in nessun altro luogo o tribunale fuori dal Parlamento”). Una Commissione sull’Immunita’ Parlamentare, istituita una decina d’anni fa, aveva proposto di considerare “proceedings” solo “gli atti ufficiali del Parlamento riunito in assemblea”, ma poi non se n’era fatto niente.

Il Bill of Rights del 1689, tuttora in vigore, protegge sì i parlamentari per le opinioni espresse in Parlamento, ma gli appellanti sostenevano che l’immunità avrebbe dovuto estendersi anche alla presentazione delle note per il rimborso spese. Tuttavia, non avendo il Parlamento mai approvato una legge che stabilisca con chiarezza l’ambito della definizione “attività in Parlamento”, rimane compito dei giudici interpretare l’articolo 9 così com’e’.

E dunque i giudici hanno debitamente interpretato.

“Se, con rispetto, possiamo dirlo”, si legge nella sentenza, “noi non siamo affatto sorpresi che non vi sia stato alcun tentativo da parte dei presidenti delle Camere di intervenire, neppure per segnalare al tribunale una eventuale possibilità che si potesse parlare di immunità parlamentare. Si può affermare con sicurezza che l’immunità parlamentare rispetto ad accuse di rilevanza penale non e’ assolutamente mai stata applicata nel caso di reati ordinari commessi da membri del Parlamento. Con la dovuta eccezione relativa all’esercizio della libertà di parola, risulta difficile prevedere una circostanza in cui l’adempimento dei doveri previsti per un membro del Parlamento potrebbe richiedergli o permettergli di commettere un reato, o una situazione in cui la commissione di un reato potrebbe essere parte integrante dell’attività parlamentare così come prevista dall’articolo 9 del Bill of Rights. E non esiste un principio o una fonte autorevole da cui dedurre che l’immunità per una condotta delittuosa potrebbe derivare dal semplice fatto che le accuse si riferiscono ad attività che hanno avuto luogo all’interno dell’edificio sede del Parlamento.  La cruda realtà è che gli imputati sono accusati di avere approfittato del programma di rimborsi, previsto per permettere l’espletamento degli importanti doveri pubblici inerenti alla loro posizione di parlamentari, per commettere reati che presuppongono un comportamento disonesto, ai quali l’immunità parlamentare non e’ mai stata applicata e, a nostro parere, non dovrebbe mai esserlo. Se le accuse verranno provate, e sottolineiamo, se lo saranno, allora coloro a cui sono state rivolte avranno commesso dei reati comuni. Anche volendo estendere all’estremo il significato delle parole non riusciamo a immaginare come una richiesta disonesta di rimborso spese da parte di un parlamentare possa solo sfiorare il regolare svolgimento delle funzioni legislative ed essenziali della Camera di appartenenza, o l’onesto adempimento dei suoi importanti doveri verso il pubblico.  Secondo noi non si profila nessuna questione di immunità e il normale corso della giustizia penale dovrebbe avere luogo senza ansie infondate per un’eventuale violazione dei principi dell’immunità parlamentare”.

La sentenza non sembra aprire molte possibilità, ma non si esclude che gli imputati portino la questione davanti alla Corte Suprema.
Tra gli avvocati della difesa, oltre all’avvocato Knowles, era presente anche l’avvocato Fitzgerald. Entrambi sono noti anche alle cronache giudiziarie italiane per aver sostenuto le ragioni della Fininvest SpA, nel 1996, nello sfortunato ricorso contro la trasmissione di atti richiesta dal pool di Milano, che cercava la documentazione sui conti bancari delle societa’ incluse nelle liste dell’avvocato Mills. La Camera dei Lord, allora, respinse l’appello commentando con un pizzico di ironia i motivi addotti dalla difesa.

Il mese scorso, nel suo intervento, l’avvocato Fitzgerald aveva sollecitato i giudici a “tenere in considerazione il contesto” in cui il giudice Saunders aveva preso la sua decisione, descrivendolo come “l’intimidazione del Parlamento da parte di un’imponente campagna di stampa”, ma l’argomento non deve aver fatto grande impressione sui giudici dell’Appello.

Gia’ nel marzo scorso, in un’udienza preliminare, Fitzgerald aveva sorpreso la corte chiedendo che fosse impedita la diffusione sui media del dibattito in tribunale sulla questione dell’immunità parlamentare allo scopo di evitare che  i resoconti della stampa potessero influenzare la giuria in un eventuale futuro processo. I rappresentanti dei maggiori organi di stampa e delle televisioni avevano quindi scritto una lettera aperta difendendo il “genuino, legittimo interesse pubblico nel riferire la discussione nel suo procedere e non il solo giudizio finale”.  La richiesta dell’avvocato Fitzgerald era stata respinta.

testo integrale della sentenza:
http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Crim/2010/1910.html

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