È stata ratificata la modifica allo statuto voluta dal rettore Francesco Tomasello. Nonostante un'interrogazione parlamentare e le riserve del ministero dell'Istruzione
Il Senato Accademico gliel’ha data e guai a chi gliela tocca: Francesco Tomasello, magnifico rettore dell’università di Messina, non rinuncia alla proroga di un anno del suo mandato. Nonostante tutto. Nonostante le polemiche, un’interrogazione parlamentare e la denuncia del ilfattoquotidiano.it. Nonostante anche i dubbi messi nero su bianco dal Ministero dell’Istruzione. Tomasello è stato irremovibile e nell’ultima seduta utile del Senato Accademico prima delle vacanze, lo scorso 2 agosto, ha fatto ratificare la modifica dello statuto già approvata a maggio che lo farà rimanere un anno in più incollato alla sua sedia. Dodici mesi oltre il previsto, quasi una sorta di risarcimento per quelle due sospensioni di 60 giorni ciascuna disposte dalla magistratura per i procedimenti penali in cui il rettore è coinvolto. Inchieste su concorsi truccati per l’accesso alla carriera accademica: tutto nel corso degli ultimi 6 anni, tutto durante i suoi due mandati. In un Paese normale sarebbe bastato per dimettersi, in Italia diventa un credito da esigere per andare oltre il previsto. Per passare dalle leggi “ad personam” di Berusconi alla “legge ad rectorem” di Tomasello.
Che l’ermellino non avrebbe rinunciato alla proroga era chiaro già all’indomani del provvedimento: «È un percorso ormai cominciato e che non s’interromperà per nessun motivo al mondo», aveva detto. E così è stato, con la benedizione del Governo. Perché la nota del ministero, con cui si manifestavano riserve, è arrivata con colpevole ritardo: c’erano sessanta giorni per intervenire ma il postino ha bussato alla porta del rettorato un giorno dopo il termine. Stavolta, non c’è proroga che tenga: il ritardo è bastato per non tenere conto di quel parere negativo. Anche perché, pochi giorni dopo, a Messina è arrivato il sottosegretario Giuseppe Piazza a benedire Tomasello e la sua cricca. Una farsa. Come l’apertura che il rettore ha concesso ai suoi oppositori: un nuovo articolo dello statuto, il 57 bis, che prevede la possibilità di presentare ricorso contro la proroga entro tre mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ma serve la maggioranza assoluta dei membri di un Senato Accademico quasi totalmente assoggettato. Basti pensare che il rettore si è rifiutato di far leggere la missiva con le riserve avanzate dal ministero: un documento pubblico che diventa “riservato”. Quasi un fatto privato. E tutti hanno votato a “scatola chiusa”, tranne i tre irriducibili oppositori: i presidi di Medicina, di Scienze e di Giurisprudenza, le tre facoltà più numerose e rappresentative.