La semplice osservazione della realtà fa capire come gli apparati governativi temano le verità che stanno emergendo dalle indagini di varie procure sul biennio stragista di Cosa Nostra 1992/93 e si adoperino per metterci una pietra sopra.
Quanto avvenuto in danno del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza è scandaloso, prima ancora che inedito. Per dire ciò, bastano i dati oggettivi.
Spatuzza ha consentito alla Procura di Caltanissetta di scardinare il depistaggio di Stato sulla strage di via D’Amelio, costruito per evitare che le indagini toccassero livelli troppo alti, soprattutto gli ambienti politici e istituzionali con cui interloquivano al tempo i capimafia di Spatuzza, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Spatuzza ha fornito alla Procure di Firenze e Milano ulteriori importanti elementi per iniziare a colmare i vuoti rimasti sulle stragi del 1993 a Firenze, Milano e Roma, vuoti che riguardano prima di tutto i mandanti esterni a Cosa Nostra. Spatuzza, infine, ha offerto alla Procura di Palermo le circostanze a sua conoscenza sulla criminosa trattativa fra Stato e Cosa Nostra da cui è nata la cosiddetta seconda Repubblica e, come riconosciuto da ultimo dal Tribunale di Palermo, anche sul sequestro e sul feroce assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Tutto questo Spatuzza ha fatto anche sotto la supervisione della Procura nazionale antimafia e in ragione di ciò tutti quegli uffici giudiziari hanno chiesto per Spatuzza il programma di protezione, in quanto collaboratore di giustizia attendibile e quindi esposto (insieme a tutti i suoi familiari che accettassero la protezione) ad altissimo rischio.
Ma il governo ha detto no. Lo ha fatto per bocca dell’on. Alfredo Mantovano, che è presidente dell’apposita Commissione centrale (prevista dall’art. 10 della legge 82 del 1991) presso il Ministero dell’Interno. Non era mai capitato che davanti alla richiesta convinta e unanime di tre procure distrettuali antimafia e della Procura nazionale antimafia la Commissione centrale negasse il programma di protezione ad un pentito. Non era mai accaduto, prima del caso di Spatuzza, nemmeno a questa Commissione centrale diretta da Mantovano.
Della Commissione centrale fanno parte due magistrati antimafia ed entrambi hanno votato a favore del programma di protezione per Spatuzza. Ne fanno, poi, parte l’on. Mantovano e funzionari e ufficiali delle forze di polizia e tutti costoro hanno seguito l’ordine della maggioranza di governo e hanno bocciato la proposta delle Procure antimafia. Quel che è peggio, lo hanno fatto in base a una loro interpretazione della legge, difforme da quella data da tutti i magistrati che si sono occupati di Spatuzza. Cosicché oggi dovremmo credere che l’interpretazione delle leggi non è più materia del potere giudiziario ma del governo, con buona pace della separazione dei poteri.
Spatuzza, in effetti, una colpa ce l’ha. Ha fatto due nomi dei personaggi finora a volto coperto che avrebbero guidato l’azione stragista dei fratelli Graviano. I due nomi sono, come si sa, quelli di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri, cioè del capo del governo e del fondatore del principale partito di governo, del quale oggi Mantovano è ortodosso rappresentante. È di plastica evidenza il conflitto d’interessi violato con la propria decisione da Mantovano e dagli altri componenti della Commissione centrale: hanno negato la protezione a Spatuzza che aveva accusato il vertice del governo, del loro governo. Spatuzza aveva accusato il loro capo e quindi doveva pagare dazio.
E doveva essere un messaggio che servisse anche ad altri possibili interessati. Negata la protezione a Spatuzza, oggi i fratelli Graviano sanno cosa li aspetterebbe se decidessero di collaborare con la giustizia. Per questo la decisione della Commissione presieduta dall’on. Mantovano ha l’intollerabile sapore di una vendetta e di una minaccia. Manifestazioni terribili, quando si parla di mafia. Tanto più quando a porle in essere è un organo dello Stato.