Stamattina ho visto un uomo che camminava a piedi scalzi sull’asfalto già caldo della consolare nell’alba spettrale di agosto. Stringeva la cintura di un accappatoio lurido e ormai ridotto a un colore indefinibile, e una volta raggiunto lo spartitraffico tra le due carreggiate si è rivolto in direzione del semaforo più vicino, poi si è fermato, ha aperto l’accappatoio e si è grattato l’addome nudo e scheletrico.

Quando il semaforo è passato al verde, gli automobilisti intenti a ripartire hanno incominciato a suonare il clacson. Nel candore fresco e confortevole dei loro posti guida, ogni luce o optional rimarcavano di una strana forma di bellezza, il confronto con quell’incubo umano vestito di cenere che camminava lungo la strada rischiando di farsi investire a ogni secondo era impari. L’uomo è diventato presto il bersaglio preferito delle loro ingiurie più feroci, una città intera che in quel momento riemergeva dal grigiore della notte non trovava di meglio da fare che prendersela con l’ultimo derelitto della terra.

Qualche giorno fa ho letto una poesia di Jack Hirschman che fa: “Non hai mai /
sollevato
/ una donna caduta per strada,
/ un uomo disteso sul marciapiede,
/ un bambino attaccato da una banda di ragazzi,
/ braccia sull’asfalto
/ per proteggersi la testa
dai calci?”. No, credo. Non ho mai fatto niente di tutto questo, e in tutta probabilità devo aver guardato anch’io con occhi pieni di sospetto chissà quanti cristi alla croce. Questo perché il bene più prezioso che crediamo di avere è la nostra freddezza. Siamo una civiltà esausta, ho allora pensato accendendo la radio e ascoltando le prime notizie del mattino, ed è così che Dio deve aver apparecchiato il suo primo pasto per i cani.

Così tra meno di ventiquattr’ore prenderò un volo per una località di mare, siederò nel posto accanto al finestrino per contemplare le nuvole ascoltando le rassicurazioni di una hostess dalla voce calda e suadente. Distenderò le gambe e chiuderò gli occhi come si conviene a un viaggiatore occidentale con un discreto posto di lavoro e ventuno giorni di ferie pagate. Probabilmente sfoglierò un giornale e chiederò un succo di frutta da bere prima che incomincino le manovre per l’atterraggio. Leggerò di un governo sull’orlo della crisi, di un treno deragliato, della bolla cinese che minaccia il mercato immobiliare, e penserò che la prossima volta che indosserò un accappatoio non dovrò temere di essere investito dalla furia del mondo. E tutto sarà a suo modo perfetto. Tutto sarà bellissimo.

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