Questo è un blog che si occupa e continuerà a occuparsi prevalentemente di narrazione. Ma come dicevamo, la vita e la memoria di ognuno di noi, si organizzano secondo schemi e sequenze narrative. Come spesso capita, inoltre, la realtà supera di gran lunga la finzione. Prima di passare ad analizzare strutture in tre atti, fatal flaw e mondi narrativi, ho deciso allora di raccontarvi questo mio piccolo anedotto autobiografico. Se non altro, perché risalendo i fatti alla fine dello scorso luglio, hanno una data di scadenza. Tutto ciò che leggerete è realmente accaduto. Il post, per motivi che risulteranno ovvi durante la lettura, è dedicato ai passeggeri della carrozza 9 e ¾!

Venerdì, 16 luglio 2010, stazione centrale di Milano. Fa un caldo infernale. Ovunque, passeggeri boccheggiano in cerca di un alito di vento, tranne quelli che hanno la tessera Frecciagoldqualcosa. Loro si riposano in un’ampia stanza climatizzata, con tanto di poltroncine rosse e arancioni, protetti da larghe vetrate attraverso le quali possono vedere il resto del mondo soffocare. Dopo una mezz’ora che dura un’eternità, il tabellone segna l’arrivo del mio treno al binario 16. Mi precipito alla banchina, salgo e subito riscendo. L’aria condizionata non è ancora attiva e la carrozza sembra un gigantesco forno a microonde. I minuti passano e i passeggeri aumentano. Siamo raggruppati in capannelli sparsi lungo tutto il binario. Siamo stanchi, acaldati, ma l’atmosfera è fiduciosa. Per l’ora della partenza il treno sarà pronto. Sono le 17. 30.

Alle 17.35, l’ora della partenza, cominciamo a salire. Dagli sbocchi dell’aria condizionata soffia un refolo tiepido che, nonostante l’evidenza, rimette tutti di buon umore. Ci sistemiamo nei nostri sedili. Alle 17.40 si chiudono le porte e ha ufficialmente inizio l’epopea. Perché per le successive cinque ore saremo deportati!

Prima di elencare gli eventi nefasti, qualche breve specifica tecnica. Il treno di cui parliamo è l’EurostarCity 9823, di venerdì 16 luglio 2010, facente tratta Milano Centrale-Pescara Centrale. Durata del viaggio: cinque ore circa, arrivo previsto a San Benedetto del Tronto (la mia stazione) per le 22.37, arrivo effettivo sempre a San Benedetto del Tronto alle 23.45 (un’ora e più di ritardo).

Ed ora, ecco ciò che è accaduto. Immaginatevi un treno tutto di metallo rivestito, con doppi vetri blindati, senza alcun finestrino apribile (se non uno piccolissimo all’altezza delle porte di sbarco), mentre attraversa l’Italia a velocità variabile (leggi con lunghe soste in mezzo al nulla) sotto il sole bollente di metà Luglio. Avete visualizzato? Ok, ora immaginatevi che dentro a quel treno blindato non ci sia aria condizionata. Ci siete? Bene, ora immaginatevi che dentro a quel treno blindato senza aria condizionata ci siano tantissimi passeggeri respiranti (ovvero corpi capaci di emettere calore) al punto che la temperatura salga velocemente intorno ai quaranta gradi. Ecco, prolungate questa visione per tre ore (nel mio caso cinque). E capirete perché è successo quello che sto per raccontarvi…

La prima reazione dei passeggeri è stata lamentarsi con il controllore. “Perché non funziona l’aria condizionata?”, “Niente paura stiamo provvedendo”. Poco dopo: “Ma come mai non avete ancora aggiustato l’aria condizionata?”, “Stiamo facendo l’ultimo test”. Poco dopo: “Ma quest’aria condizionata la rimettete o no?”, “Non si preoccupi, signora, ora riparte!”. Poco dopo: “Senta, qui stiamo soffocando, vogliamo l’aria condizionata”, “C’è stato un errore, hanno sbagliato a mettere i liquidi refrigeranti, stanno cercando di rimediare.” Infine: “Cazzo, io ho pagato 250 euro per viaggiare in prima classe, devo andare fino a Pescara. Lei ci deve risolvere il problema, ora! Senno qua io faccio un casino. C’è gente che si sente male, ci sono anziani, c’è pure una donna incinta! E non mi dica che ha già telefonato…”, “Non se la prenda con me, a Bologna saliranno i tecnici, ho già telefonato!”.

Peccato che siamo appena fuori Milano. La prospettiva di aspettare fino a Bologna per tornare a respirare aria tersa di montagna non acquieta gli animi, anzi, ottiene l’effetto opposto. Un passeggero chiama la polizia, che ascolta distratta e poi lo mette in attesa (a Bologna, dopo due ore e mezza di viaggio, si sono effettivamente palesati due agenti. Un’apparizione lampo: hanno chiesto al controllore “E’ previsto il ripristino dell’aria condizionata?”, il controllore ha scosso la testa, gli agenti hanno fatto spallucce e se ne sono andati.) Nel frattempo (ben prima di arrivare a Bologna), l’indignazione sale, mentre il personale di Trenitalia si dirada. Prima che il controllore diventi un desaparecido, faccio in tempo a porgli qualche domanda. Chiedo: “Scusi, ma si può esigere il rimborso per il guasto all’aria condizionata, perché io ho pagato un biglietto salatissimo (75, 50 euro, N.d.A.) in cui è compreso anche questo servizio!”. Il controllore, un ometto basso e serafico, con un elegante accento meridionale e una sovrumana capacità di assorbire insulti senza battere ciglio (sarebbe un ottimo politico), risponde: “Le devo dire la verità, si poteva chiedere il rimborso di cui lei parla, ma solo fino al 13 giugno. Dopo quella data non è più previsto.” Ne deduco che il rimborso per il mancato funzionamento dell’aria condizionata si possa chiedere…ma soltanto d’Inverno! Faccio per rispondere qualcosa di cui mi pentirei immediatamente ma la mia vicina consiglia di lasciar stare che “tanto quello è un uomo di gomma!”

Ormai fuori Milano, la situazione è insopportabile e si tentano le prime soluzioni tampone: qualcuno va in bagno, ruba in blocco le salviette di carta e le distribuisce ai passeggeri per detergersi, accompagnando il gentil gesto con la funesta novella: “Attenzione che l’acqua non è potabile! Se ce l’avete, però, ci potete cuocere la pasta!”; qualcun altro fa a turno davanti alla porta di sbarco per infilare la testa nella parte di finestrino apribile (saranno si e no venti centimetri) finché l’ambito posto non viene ceduto per unanime accordo alla donna incinta; qualcun altro propone (profeticamente…) di rompere un vetro, ma l’unico mezzo contundente è il martelletto rosso per l’evacuazione d’emergenza e con quello, commenta un’anziana signora, “non ci rompi manco una zucchina!”.

Ormai la carrozza è diventata una sauna e, quando all’improvviso e senza una ragione, si accendono le luci, una ragazza esulta soddisfatta: “Ora ci possiamo fare anche la lampada!”. Insomma, pensavamo di viaggiare su un treno qualsiasi, invece era una beauty-farm su rotaie.

Ma il peggio, come si sa, viene sempre dopo. Verso Parma gruppi sparsi di passeggeri cominciano a transitare da una carrozza all’altra. Hanno l’aria affranta e allibita. Quattro di loro trovano posto nelle mie vicinanze e, visto che ormai il calore ha sciolto il ghiaccio e siamo diventati tutti cordiali, mi informo della loro storia. Rispondono in coro: “Noi siamo quelli della carrozza 10!”. “Ah”, li avverto sollecito,“ma allora avete sbagliato perché questa è la carrozza 2”. E loro: “Lo sappiamo, ma noi non abbiamo un posto, così ci muoviamo sul treno e ci sediamo dove troviamo libero.” “Come sarebbe non avete un posto, forse vi hanno fatto un biglietto con posto non garantito?”, insisto alla ricerca di una logica. “No, no, abbiamo prenotato e il posto ce l’avremmo, purtroppo però non esiste la carrozza!

Ebbene sì, il treno EurostarCity 9823 delle ore 17.35, facente tratta Milano Centrale-Pescara Centrale, è in realtà il treno di Harry Potter: l’invisibile Hogwarts Express. Non ci sono dubbi. Gli indizi parlano chiaro: il treno che conduceva nel mondo magico partiva dal binario 9 e ¾ e il treno su cui viaggiamo noi ha un numero totale di carrozze pari a…9 e ¾! Non chiamatemela coincidenza, brutti babbani! E’ un’innegabile epifania.

Nelle ore successive, la storia prende forma in modo meno fiabesco e più drammaticamente reale: i passeggeri della carrozza 9 e ¾ hanno prenotato il biglietto sia online che in biglietteria, ma a quanto pare il primo treno su cui originariamente avremmo dovuto viaggiare è stato sostituito in stazione per un guasto (!) e il secondo treno (cioè il nostro, che è sempre guasto, quindi non oso figurarmi le condizioni del primo…) ha una carrozza in meno. Evidentemente a nessuno è venuto in mente di contare quante carrozze avesse il primo (10) e quante il secondo (9) e concludere che il numero complessivo avrebbe dovuto coincidere. Ma poco male, come ha detto il capotreno ai passeggeri della carrozza 9 e ¾, quando hanno domandato spiegazioni: “Andate pure e sedetevi dove volete. Persino in prima classe!”

La prima classe sarebbe quella dove viaggio io, quella dove si soffoca, la gente suda copiosamente e si scusa mortificata per gli schizzi di sudore random, i bambini piangono, e finalmente qualcuno decide che è ora di buttarla in politica. Con una gioia che sfiora la commozione, mi accorgo di vivere in un paese di anti-governativi. E’ tutto un susseguirsi di invettive anti-casta: “Scommetto che dentro le auto blu ce l’hanno l’aria condizionata!”, “Pure a Villa Certosa ce l’hanno!”, “Finché al governo ci sta uno ricchissimo che pensa solo ai fatti suoi andremo sempre peggio!” “Loro in pensione ci vanno dopo due anni e mezzo, ‘sti bastardi!”, “E’ colpa dell’opposizione che si oppone a tutto pure alle cose giuste”, “E’ colpa dell’opposizione che non si oppone a niente ma pensa solo a inciuciare”, “L’unica cosa è fare la rivoluzione”. Qualcuno ha rigurgiti di orgoglio nazionale: “Siamo ai livelli del terzo mondo!”, “Pensa se tra noi c’è qualche turista, che paga per un Eurostar e si ritrova dentro una caldaia!”, “Che figura di merda!”. Qualcun altro, più egoisticamente, fa piani per il futuro: “Io c’ho trent’anni e ho deciso che dopo Natale emigro”, “Io a Bologna scendo e prendo il treno regionale, almeno su quelli si possono abbassare i finestrini!”, “Io, dopo quest’esperienza, vado dritto in Paradiso!”

Non si sa bene come, arriviamo a Bologna, dove l’inimmaginabile accade. Il treno si ferma per mezz’ora e più. La gente si riversa sulla banchina. Si sentono urla, imprecazioni, insulti, qualche bestemmia. Due agenti di polizia si aggirano con l’aria impotente di chi è chiamato a fare solo rappresentanza. Arrivano due impiegati di Trenitalia alla guida di un carrellino e lanciano (letteralmente!) dentro ogni carrozza una confezione di acqua naturale liscia (a temperatura ambiente, quindi caldissima, perché “il frigo non ha fatto in tempo a sfreddarla”). I passeggeri bevono e raccolgono notizie. Circolano le prime voci di binario. Pare che alla carrozza 6 abbiano rotto un vetro, mentre in un’altra carrozza hanno tirato il freno d’emergenza. Per questo fatto, non si sa se il treno potrà ripartire, perché col freno d’emergenza tirato scatterebbe subito l’allarme e sarebbero costretti a fermarsi di nuovo. Nel frattempo, sembra che una donna si sia piazzata al centro dei binari e abbia minacciato di rimanerci fino a quando non aggiusteranno l’aria condizionata. Ma ecco, tra la folla di comuni mortali, emerge a sorpresa un’esponente della casta: si tratta di Anna Paola Concia, deputata del PD, che subito viene chiamata in causa. Il popolo è diviso: c’è chi vorrebbe ripartire comunque, e chi vorrebbe bloccare il treno a Bologna, per una questione di principio e di protesta. Il partito di quelli che preferiscono riprendere il viaggio, anche se in condizioni disumane (placida metafora dell’Italia…), ha il sopravvento. Non sapendo a chi appellarsi, si rivolgono direttamente alla deputata (che tra l’altro, è davvero in gran forma: abbronzata, elegante, e molto più bella che non in tv!) La assalgono subito con toni violenti: “Fai ripartire questo treno!”. La Concia fa per ribattere qualcosa, evidentemente imbarazzata, ma ecco un galante signore intercedere a suo favore: “Ma su, ragazzi, lei è del PD, quelli non li ascoltano in Parlamento, figuriamoci qui!”

Ne ho abbastanza e me ne torno nei pressi della mia carrozza. Passa ancora un altro quarto d’ora e il treno si rimette in moto. Sono saliti nuovi passeggeri, che vengono dritti dal Frecciarossa, e sono a dir poco scioccati. Un ragazzo si siede vicino a me e non riesce a capacitarsi: “Ma non funziona l’aria condizionata?”, “No!”, “Ma non c’è la carrozza ristorante?”, “No!”, “Ma non c’è nemmeno l’elettricità per collegare il computer?”, “No!”, “Ma è in ritardo di quaranta minuti?”, “Sì!”, “Ma questo è un Eurostar?”, “Sì!”.

Invece no. La verità, come al solito, viene elargita a chi sa meritarsela. Dopo qualche indagine e un paio di pellegrinaggi alla ricerca di carrozze dove l’aria condizionata funzionasse, mi imbatto in un signore che mi svela l’arcano: “Ma quale Eurostar! Questo è un vecchio Intercity riverniciato. Non vedi quante fermate fa? Queste sono carrozze degli anni ’70, con impianti di climatizzazione vecchi di quarant’anni, che due volte su tre non funzionano. Fidati di me, che lo prendo spesso. Lo hanno rimodellato, così ti fanno pagare la tariffa Eurostar, ma tu intanto viaggi su un rottame. D’inverno si rompono le centraline e viaggi al freddo, d’estate si rompe il climatizzatore e viaggi al caldo. Non arriva mai in orario. E hanno reso le norme per chiedere il rimborso assurde e complicate. Così ti hanno in pugno. Non resta che aspettare la linea di Briatore!”. “Come, scusa, che c’entra Briatore?”, domando cadendo dalle nuvole, “Non lo sai? Tra un paio d’anni lancerà una sua linea di treni, in accordo con Montezemolo. Allora sì che finalmente le cose cominceranno a funzionare!”.

Piuttosto che immaginarmi la nuova linea di Briatore, con i poster della Gregoracci che dice “Uelcam tu mai trein”, preferisco chiudere gli occhi e immaginare Hagrid che mi accoglie alla stazione con un grande abbraccio. Poi un bel bicchiere di Burrobirra da bere ai “Tre manici di scopa” con Harry, Ron e Hermione. E, infine, le torri imponenti del castello di Hogwarts sullo sfondo del cielo stellato…

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