Questo post appartiene alla sezione del blog chiamata “Dettagli” e dedicata a piccoli particolari narrativi, raccolti qua e là, che spesso (o quasi sempre) fanno la differenza. Avvertenza: essendo le ferie alle porte, ho pensato di riprendere le fila del discorso generale sulle proprietà e funzioni della narrazione dopo Ferragosto. Intanto, buone vacanze a tutti!

Quando nel 1869, il chimico russo Dimitrij Mendeleev elaborò la Tavola Periodica degli Elementi, pensò bene di lasciare degli spazi vuoti per le future scoperte. L’intuizione si rivelò esatta e, periodicamente, la tavola venne aggiornata per oltre un secolo. Un bel giorno la comunità scientifica ritenne che tutti gli elementi fondamentali fossero stati individuati. Il discorso sembrava chiuso ma a sorpresa, in tempi più recenti, ecco comparire sulla scena due nuovi protagonisti: lo zamonium e l’ottarino. A rendere la scoperta ancor più sensazionale contribuisce il fatto che, a divulgarla, non è stato un ostico articolone di chimica bensì due irresistibili saghe fantasy: la Saga di Zamonia di Walter Moers e la Saga del Mondo Disco di Terry Pratchett.

Per cominciare rinfreschiamoci la memoria sugli elementi già noti con la famosa The Elements di Tom Lehrer:

Ora analizziamo più da vicino, in che cosa consistano questi discussi elementi cui si è accennato, e se abbiamo o meno diritto di trovare una loro collocazione nella Tavola di Mendeleev.

L’ottarino fa la sua apparizione ne “Il colore della magia”, il primo volume della Saga del Mondo Disco, scritta da Terry Pratchett. In questa saga, che tiene forse a battesimo il genere comico-fantasy, si costruisce uno dei più bizzarri mondi narrativi di cui abbiamo testimonianza letteraria. All’interno del Mondo Disco non esistono soltanto i canonici sette colori dell’arcobaleno, bensì otto, e l’ottavo è appunto l’ottarino.

L’ottarino è “il pigmento dell’immaginazione” e, a chi riesce a scorgerlo, consente a sua volta di vedere cose che agli altri sono invisibili.

E’, a tutti gli effetti, il colore della magia e un vero e proprio spettacolo della natura.

“…Forse la visione più impressionante di tutte […] è l’arcobaleno di otto colori che circonda il mondo ed è sospeso nell’aria caliginosa sopra la cascata. L’ottavo colore è l’ottarino, causato dall’effetto dispersivo della forte luce solare su un campo di grande intensità magica.”

Ma l’immaginazione di Pratchett, come quella di qualsiasi buon narratore alle prese con la creazione di un mondo narrativo, non si ferma qui. Ci fornisce anche una spiegazione scientifico/narrativa della comparsa dell’ottarino.

Nel Mondo Disco, c’era un tempo in cui la Magia era “libera e senza norme”, fino a quando, proprio per un qualche eccesso di libertà, non si rese necessario da parte degli Antichi regolamentarla e costringerla a ubbidire a una serie di leggi. La magia, come un cavallo selvaggio, fu insomma catturata domata e imbrigliata. Tuttavia, raccontano i saggi, si poteva “…ancora trovare un po’ dell’antica magia allo stato naturale riconoscibile, per gli iniziati, dall’ottava forma impressa alla struttura cristallina dello spazio tempo. Così c’erano l’ottirone metallico e il gas ottarino. Entrambi irradiavano pericolose quantità di incantesimo puro.”

Accanto all’ottarino, infatti, apprendiamo anche dell’esistenza dell’ottirone, che è una particolare forma di lega metallica (nota a margine: tutto il Mondo Disco è costruito intorno al numero otto, proprio come tutta Zamonia sarà costruita intorno al numero sette). Ma non è il caso di divagare.

Ecco piuttosto, come appare l’ottarino, in tutta la sua magnificenza: “Un doppio arcobaleno si stava formando: i suoi sette colori minori brillavano e danzavano nella spuma dei mari morenti.

Ma erano pallidi in confronto alla striscia più pallida che fluttuava al di là, disdegnosa di condividere con loro lo stesso spettro.

Era il Colore Reale, di cui tutti gli altri sono riflessi meramente parziali e slavati. Era l’ottarino, il colore della magia. Era vivo risplendente vibrante ed era l’indiscusso pigmento dell’immaginazione perché, ovunque apparisse, stava a significare che la semplice materia era serva dei poteri della mente magica. Era l’incantesimo stesso.”

E veniamo, ora, allo zamonium, altro elemento di sicuro fascino e particolarità. Non è certamente un colore, ma è qualcosa di più. Se l’ottarino è un concentrato di magia allo stato naturale, lo zamonium ha invece un’origine artefatta ma è in compenso capace di pensare (e di pensare in modo diabolico!).

All’esistenza dello zamonium siamo introdotti nel libro “Le tredici vite e mezzo di Capitano Orso Blu”, scritto da Walter Moers, che inaugura quella che potremmo definire la Saga di Zamonia, ovvero una serie di vicissitudini e avventure varie ambientate appunto nel continente fantastico di Zamonia.

Dal “Dizionario enciclopedico dei portenti, degli organismi e dei fenomeni bisognosi di spiegazione di Zamonia e dintorni del Prof. Abdul Noctambulotti siamo edotti sul fatto che:

zamonium, s.m., leggendario elemento di cui si dice che sappia pensare. Sono secoli che gli alchimisti di Zamonia cercano di ottenere quel che definiscono la “pietra filosofale” o “zamonium”. Da questa pietra si aspettano niente di meno che la ricetta dell’immortalità, nonché la risposta a molti problemi irrisolti. Nell’ottavo secolo dopo la nascita di Zamonia, un mitico alchimista, tale Strafess Zaan, sarebbe in effetti riuscito a produrre una pietra che sapeva pensare, ma purtroppo solo a livello di una gallina. Irritato per aver quasi inutilmente scialacquato diverse tonnellate d’oro per produrre lo zamonium, Strafess Zaan, sempre secondo la leggenda, avrebbe preso la pietra e l’avrebbe scaraventata nelle sabbie mobili di Chitirischionosce.

Anche Moers, come Pratchett, continua la sua spiegazione scientifico/narrativa aggiungendo che fu proprio il professor Noctabulotti (l’autore del Dizionario di cui sopra), una volta recuperato il protozamonium dalle sabbie mobili, a ricavarne l’attuale zamonium attraverso un elaborato processo alchemico (che includeva, tra l’altro, allo scopo di elevarne le capacità cerebrali l’aggiunta di ingredienti quali: caffeina concentrata, atomi scissi di mercurio, glucosio, polvere di gesso, acido formico, gomma arabica, vitamina C, sebo di nattiftoffo, glicerina, alcool puro, cantaride, ecc.) Fu così che lo zamonium divenne a tutti gli effetti un minerale pensante e, ahimè, cominciarono i guai. Invece di rispondere alle grandi domande filosofiche o risolvere gli eterni problemi che affliggono gli esseri viventi, lo zamonium, la leggendaria pietra filosofale, questo minuscolo ma preziosissimo sasso cogitante cominciò a farsi i cavoli suoi…e la storia ovviamente prese tutt’altra direzione!

Il motivo per cui, a mio avviso, è interessante chiamare in causa lo zamonium e l’ottarino è che sono un eccellente esempio di come, nel costruire dei mondi narrativi, sia fondamentale l’attenzione non solo al dettaglio ma anche alla storia del dettaglio (quindi, come dire, alla descrizione o proprio all’invenzione di un “dettaglio tridimensionale”). Più in là, quando avrò modo di introdurre il metodo dei sette elementi generatori per costruire mondi narrativi originali e coerenti, l’ottarino e lo zamonium risulteranno non a caso due ottimi rappresentanti del cosidetto TOPOSi (per il quale vi rimando alla nota sottostante).

Lo zamonium e l’ottarino stanno lì a testimoniare proprio tale principio. Nessuno dei due è davvero indispensabile alla storia: per quanto si intreccino ad essa, infatti, sarebbe comunque possibile farne a meno senza modificare di molto l’impianto del racconto (al di là dell’onomastica che lega evidentemente zamonium e Zamonia). Ma la loro stessa presenza illumina la narrazione, la fa risplendere dall’interno, letteralmente la anima: ci stupisce e ci diverte, ci interessa e ci intriga, e soprattutto ci fa sentire accolti e benvoluti.

Perché entrare in un mondo narrativo è come entrare nella stanza degli ospiti a casa di qualcun altro. Quando siamo sulla soglia e ci coglie quell’istante di timore interrogativo: saranno pulite le lenzuola, ci saranno gli asciugamani in bagno, potrò appendere i vestiti nell’armadio? Ecco, pensate alla stanza degli ospiti perfetta, con l’attenzione alle minime necessità di un hotel di lusso combinata all’affettuosa accoglienza che solo un vero amico potrebbe riservarvi. La stessa cosa capita quando un mondo narrativo è costruito bene. Quando, in una narrazione piena di visioni stupefacenti e colpi di scena, si trova ancora l’amore e la pazienza di aggiungere due elementi che vanno a scombinare la fisica canonica, dotarli di una descrizione e una storia peculiari, e tracciare così un ultimo confine di proprietà oltre il quale sussurrare al lettore: ora sei ospite a casa mia, sei nel mondo del mio racconto, vedi, ci sono cose che conosci e altre che potrai scoprire solo restando qui, allora mettiti comodo e comincia a sognare.

A presto,

P.

i Il TOPOS di un mondo narrativo, lo anticipo, è sostanzialmente l’elemento fisico, riferito sia all’ambiente che al personaggio. Ad esempio, nel caso dell’ambiente, potrà essere uno spazio o una sede (una casa, una scuola, un ufficio, un campo da gioco, una città, una nazione, persino un pianeta o un sistema intergalattico); un mezzo di trasporto (automobile, autobus, ascensore, nave, astronave); un habitat naturale (bosco, foresta, lago, mare, ghiacciaio); ecc. Nel caso di un personaggio sarà invece riferito fondamentalmente al suo corpo, alla sua costituzione fisica e alle particolarità della stessa. Il TOPOS è uno degli elementi più caratterizzanti un mondo narrativo, quello che può fornire i dettagli più originali e imprevedibili alla narrazione, consentendo come vedremo di unire il piacere della divulgazione a quello della suspence.

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