Svolta nuclearista in Gran Bretagna. Durante un programma radiofonico andato in onda l’altro ieri sulla Bbc, il ministro dell’energia Chris Huhne ha fissato una data precisa per la prima delle nuove centrali ad energia atomica. “Sarà entro il 2018”, ha dichiarato con voce ferma al conduttore che lo incalzava. Anche se non ha specificato in quale sito sorgerà la nuova centrale, il ministro ha lasciato intendere che entro la fine dell’anno il governo indicherà il luogo adatto alla costruzione, scegliendolo tra una delle centrali attualmente dimesse.

Ma non è certo la data l’unica notizia degna di nota. Tenendo fede a quanto annunciato già a maggio, ovvero all’indomani della formazione del governo liberal-conservatore, Huhne – a lungo un antinuclearista come tutti i Liberaldemocratici, poi folgorato sulla via del potere – ha ribadito come non sarà lo stato a finanziare il processo di rinnovamento energetico. “L’onere sarà tutto a carico dei privati”, ha continuato il ministro, mostrandosi fedele al dettato politico del primo ministro David Cameron. Da parte sua il governo si limiterà a vigilare. Agli inglesi rimane da sperare che lo faccia attentamente, trattandosi di una questione così delicata.

I motivi della conversione nuclearista sono presumibilmente più economici che ideologici. Analogamente a quanto accade per il nostro Paese, il Regno Unito non utilizza fonti rinnovabili o pulite se non in piccola parte, e certamente meno della Germania. Petrolio, gas e carbone sono alla base degli approvvigionamenti energetici britannici. Eppure, proprio il disastro petrolifero di BP a largo del golfo del Messico e il discredito della compagnia petrolifera presso l’opinione pubblica potrebbe giocare in favore della ripresa nucleare. Che si annuncia autarchica, non costosa, poiché realizzata con capitali privati e “pulita”, a detta del ministro e dei Conservatori al governo, da sempre a favore dell’atomo.

Con 19 reattori attualmente funzionanti, 23 dismessi e 57 miliardi di Kilowatt ore di elettricità generata, pari al 13% sull’ammontare complessivo, la Gran Bretagna è terza in Europa per produzione di energia nucleare, dopo Francia e Germania. Vanta però un primato storico, avendo aperto il primo reattore per usi esclusivamente civili fin dal 1956. L’ultimo, prima dell’annuncio dell’imminente revival da parte del ministro dell’energia, era stato costruito nel 1995, alla vigilia dell’arrivo del Labour al governo. Hanno invece posto la moratoria sulla costruzione di nuove centrali Germania e Spagna, che pure contano la prima 17, la seconda 8 reattori. La Svezia, con i suoi 10 reattori, completa il variegato panorama dei paesi europei più nuclearizzati.

Ma la regina incontrastata del modello nuclearista rimane la Francia, che produce energia dall’atomo per quasi l’80% del suo fabbisogno e ne esporta in grande quantità. La fede transalpina nel nucleare risale ai tempi della crisi petrolifera degli anni ’70 e non conosce battute d’arresto. La centrale di Flamanville, in Normandia, di cui si programma il completamento entro il 2012, dovrebbe rappresentare il prototipo di reattori di terza generazione, ma anche quelli di quarta sono già allo studio già da qualche anno. Tecnologie che promettono di coniugare efficienza e sicurezza, e a cui i vicini inglesi guardano con attenzione.

E l’Italia? Si ispira proprio alla grandeur nucleare francese l’accordo del 2009 tra i colossi energetici EDF e ENEL, mossi dalla volontà politica congiunta di Sarkozy e Berlusconi di riaprire quattro centrali nel nostro paese. Difficile dire che ne sarà di un progetto fortemente contrastato e su cui pesa il veto del referendum antinuclearista del 1987. Scelta dei siti e problemi di smaltimento delle scorie, dividono da anni l’opinione pubblica italiana. Una parte della quale non sarà certo contenta di apprendere il ritorno di Londra ai piani nucleari. Unita per giunta all’inedita formula degli investimenti privati.

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