I Radicali denunciano gli affari di Scarpellini con la Camera. La sospetta liason tra Montecitorio e la società immobiliare Milano90 dura dal 1997
Che la Milano90 srl, nella Camera dei deputati, avesse trovato la sua miniera d’oro, i Radicali l’avevano scoperto già da mesi. Che il Parlamento italiano fosse tragicamente recidivo lo constatiamo solo adesso: abbiamo speso 352 milioni di euro in tredici anni per affittare quattro palazzi, un giudice ci conferma che abbiamo firmato contratti svantaggiosi, ma alla Milano90 continuiamo ad affidare servizi, per un totale di 586 milioni di euro. L’ultimo porta la data del 27 gennaio 2010: eppure è dal gennaio dell’anno prima che sappiamo che Milano90 ci ha fregati.
Tredici lunghi (e cari) anni
Come Il Fatto ha già raccontato a marzo, la liason tra la Camera e la società immobiliare – il cui maggior azionista è il potente imprenditore romano, dalle amicizie trasversali, Sergio Scarpellini – comincia nel 1997: la Camera cerca nuove sedi, Milano90 gliele offre ancor prima di averle acquistate. Sono quattro palazzi nel centro di Roma di proprietà di Telecom Italia e di Enel, più uno preso in subaffitto. All’epoca la società è messa maluccio: ha chiuso il bilancio del 1995 con una perdita di 12 miliardi di lire e debiti per 88 miliardi. L’affare Montecitorio capita a fagiolo: il Parlamento italiano è cliente e garante al tempo stesso. Diventiamo affittuari sulla carta, e così la Monaco90 può avere il mutuo per comprare le mura. È così che nel 1999 il gruppo Scarpellini porta a casa un utile di 11 miliardi di lire. Certo, solo per il palazzo che si trova tra piazza San Claudio, via del Tritone e via del Pozzetto, la Camera ha sborsato in anticipo il canone da 12 miliardi di lire annui, pagando pure il periodo in cui la Milano90 ha ristrutturato l’immobile. È sempre la Camera che ha dovuto occuparsi dell’eventuale cambio di destinazione d’uso. Sempre lei che ha rinunciato alla possibilità di disdire o rescindere il contratto da 9 anni più 9. E quanto alla possibilità, un giorno, di diventare proprietari, è nebbia fitta.
Solo nel 2007, al collegio dei Questori, viene il dubbio che in quei contratti qualcosa che non vada. Il 5 dicembre di quell’anno la Camera cita in giudizio Milano 90 srl: lamenta di non poter esercitare il suo diritto di acquisto sugli immobili presso cui è in affitto. Peccato – le rispondono i giudici nella sentenza – che la Camera non ha mai manifestato “l’intendimento di rendersi acquirente”, magari con un telegramma o con una raccomandata con ricevuta di ritorno. E se anche l’avesse fatto, sia chiaro che la Camera, quel diritto, non ce l’ha: ha firmato un contratto dove ha sì “facoltà di acquisto”, ma Milano90 al tempo stesso ha “facoltà insindacabile di accettare o meno detta proposta”. In pratica, decide lei se vendere o no. E non serve un mago di economia per capire che se percepisci un affitto da più di 7 milioni di euro all’anno per ogni palazzo, vendere non ti converrà mai.
I recidivi delle cause perse
Siamo stati fregati? Sarà. Ma Scarpellini non si aspetti vendette. Anzi, in arrivo ci sono altri tappeti rossi stesi per lui. Proseguono – anche perché non possiamo fare altrimenti – i contratti di locazione. Viaggiano in parallelo i contratti per la fornitura di servizi come le pulizie e la consegna della posta: sono stati firmati insieme all’affitto – senza alcuna gara o trattativa – per un valore complessivo di 172 milioni di euro spesi dal ’97 a oggi. Secondo il professor Marcello Crivellini, esponente Radicale, al Politecnico di Milano “per una superficie dieci volte superiore, spendono cinque volte di meno”. Nel 2003, a coronare l’amore, arriva l’affidamento diretto di servizi aggiuntivi: per esempio l’anti-incendio, che non si paga a seconda degli interventi, ma a forfait, per un totale di spesa (in dieci anni) di oltre 35 milioni di euro. Vanno a Milano90 anche i servizi di ristorazione, 16 milioni di euro scarsi in sei anni. Infine, a Natale è tempo di regali: e sotto l’albero del 2009 arrivano altri 350mila euro (spiccioli, si dirà) per “movimentazione merci, facchinaggio e lavaggio verdure”.
L’ultimo contratto, dicevamo, è di sette mesi fa. Il 27 gennaio scorso, Camera dei deputati e Milano90 si sono accordati “come da colloqui intercorsi” per la fornitura del servizio di somministrazione pasti nel selfservice del cosiddetto palazzo Marini3, e per il servizio bar nei palazzi di via del Seminario e di vicolo Valdina. La Camera paga per ogni pasto 14.24 euro, ma Milano90 ha riempito il contratto di clausole con cui si riserva di addebitare costi aggiuntivi. I dettagli sono sterminati, negli allegati al contratto c’è perfino la ricetta di come va servito lo gnocco romano e di quale tipo di patate bisogna comprare.
Che fatica vedere quei contratti
Per capire come abbiamo speso 586 milioni di euro in tredici anni, non bastava scorrere la lista dei fornitori, bisognava vedere i contratti. La deputata radicale Rita Bernardini per averli ce ne ha messa di costanza. I questori – tre deputati che ogni anno elaborano il progetto di bilancio della Camera – le avevano detto che non era suo diritto accedere a quegli atti. Invece l’articolo 68 del regolamento di Amministrazione e contabilità della Camera, al comma 4 dice il contrario. “Hanno mentito, per iscritto e per orale”, dice la Bernardini. Così, lei, ha preso carta e penna e ha scritto al presidente Fini, annunciandogli l’inizio di uno sciopero della fame. “Sarà il più breve della storia dei Radicali – le ha risposto lui – Domani avrai i documenti che giustamente hai richiesto”. Fino alla scadenza dei contratti, comunque, Scarpellini e i suoi, siamo costretti a tenerceli. Nel frattempo, i Radicali porteranno in Procura i contratti, per capire se c’è di mezzo qualche reato. “Possibile – si domanda l’onorevole Bernardini – che Milano90 abbia avuto tutti questi regali senza dare niente in cambio?”.
Da Il Fatto Quotidiano del 12 agosto 2010