La vita di un ebreo in Olanda, durante il nazismo, valeva poco più di tre euro e mezzo. Questa, infatti, la ricompensa che percepivano i collaborazionisti quando denunciavano gli ebrei ai “signori” del partito con la croce uncinata. I tre euro e mezzo erano la somma con cui potevano ricomprarsi, prima di tutto, la bicicletta visto che tutte venivano requisite, insieme alle radio. Me lo raccontava ieri un olandese, rifugiato qui a New York, tanti anni fa, perché colpevole di essere ebreo. “Nessuno sembrava voler prestare attenzione a ciò che accadeva in giro, mi racconta, l’odio verso gli ebrei fu costruito ad opera d’arte, giorno per giorno, limitazione dopo limitazione, cosi’ che quando arrivarono i campi di concentramento, fu impossibile tornare indietro per tanto tempo”.
Quando vivevo in Italia, ho avuto la fortuna di conoscere Settimia Spizzichino, l’unica sopravvissuta alla retata al ghetto ebraico di Roma il 16 ottobre 1943. Nell’inferno di Auschwitz, Settimia perse tutta la sua famiglia e, tornata alla vita, spese tutti i suoi anni andando nelle scuole a raccontare.
Ascoltavo il mio “amico” olandese ieri e ripensavo a Settimia. E, senza vergogna, avevo un nodo alla gola. Perché il mio amico dice che questi tempi gli ricordano quei tempi. Ha appena finito di ascoltare il discorso del presidente Obama sul centro culturale Cordoba al World Trade Center e scuote la testa.
“Un altro presidente, a pochi mesi dalle elezioni di medio termine avrebbe taciuto e si sarebbe “nascosto” dietro la scusa che si tratta di una questione locale. Lui no. Perché lui crede davvero nei valori sui quali è stata costruita la grandezza di questo paese che poi sono quelli che hanno permesso a tanti di noi di trovare nuovamente la vita”.
Il suo commento mi ha un po’ meravigliato, sinceramente, perché molti ebrei non la pensano come lui e sono contrari al progetto della moschea ma lui mi spiega che chi è sopravvissuto ad Auschwitz e al delirio nazista difficilmente sarà un razzista (o semplicemente intollerante) perché sa che quello è il primo passo verso la follia e l’odio.
Leggo i sondaggi e scopro che i Repubblicani sono in maggioranza convinti (il 57%) che Barack Obama sia musulmano, nonostante la sua profonda e ampiamente professata fede cristiana. Ora, sebbene essere musulmani non dovrebbe essere una colpa, è chiaro che alla base di questa convinzione, grazie anche alle manipolazioni politiche di personaggi come la signora Palin e la gran parte dei tea-partisti, risiede un giudizio assolutamente negativo.
Il presidente, dunque, per quella forma di opportunismo politico, che evidentemente non gli appartiene, poteva non intervenire sulla questione e risparmiarsi una bella rogna. Questo se uno è il presidente americano ma ci tiene più alla sua poltrona che ai valori dell’America che lo ha eletto, che sta rappresentando e che, come cittadino, sente di voler migliorare e non peggiorare. La sua America, quella per cui patriotticamente ci si alza in piedi, mano sul cuore a cantare l’inno, che poi è la stessa America di grandi presidenti come Washington, Roosvelt o JFK, è il paese del primo emendamento che assicura la libertà: di espressione, di culto, di parola e di credo politico. La sua America è quella che è nata dal lavoro e dall’intrecciarsi di razze e culture provenienti da posti lontanissimi e arrivati fin qui “solo” in virtù di quel sogno americano inteso come possibilita’ di realizzare i propri sogni. La sua America è quella in cui un giorno una donna di nome Rosa Parks ha deciso di non alzarsi per far sedere un bianco perché era stanca. E con Rosa Parks sono rimasti “seduti”, uno di fianco all’altro, milioni di americani, bianchi e neri, per dire che la loro America non era più quella. La sua America, come cittadino e come presidente, è quella che vuole permettere ai poveri di curarsi, ai giovani meritevoli di studiare e agli insegnanti di continuare ad insegnare. La sua America è quella che ha permesso ad un afro americano, figlio di una madre single, senza ricchezze, di studiare, migliorare e diventare il 44mo presidente degli Stati Uniti d’America. La sua America è quella in cui per il presidente, cio’ che accade a New York e che ha come oggetto la limitazione della libertà di culto, non può e non deve essere un fatto locale, perché è un fatto dell’America che lo ha eletto e che è assolutamente stanca di rispondere “occhio per occhio e dente per dente”.
Certo, dall’altra parte ci sono quelli con i fucili già pronti, le pietre da tirare, i divieti da instaurare, gli articoli della costituzione da cambiare in nome della separazione e della divisione e del più facile e amaro populismo. Che in periodi di crisi economica è come una lama di coltello che affonda nel burro.
I fanatismi religiosi, da qualsiasi parte, sono terribili e, se manipolati dalla politica, hanno fatto e faranno danni straordinari. Ogni religione, nel mondo, se “male interpretata” da fanatici, diventa un’arma di distruzione di massa. In nome di Dio, di Allah, e di mille altri, sono stati uccisi milioni di essere umani in tante parti del mondo.
In nome del primo emendamento, che garantisce la libertà, la signora Palin può, quotidianamente urlare il suo odio contro qualcuno (presidente in prima linea) senza però mai dire, con la chiarezza che ancora una volta ha mostrato Barack Obama, qual è l’America che lei vorrebbe.
C’è un film che si intitola “The American president”, in cui Michael Douglas interpreta il presidente (democratico) degli Stati Uniti che, verso la fine, fa un discorso (http://www.youtube.com/watch?v=mWRVbWMvi7c) di quelli che, secondo me, andrebbero “incorniciati” e che raccontano meglio di molto altro il paese in cui vivo. E ciò che lo rende un grande paese.