Anche quest’anno, nelle dichiarazioni dei redditi degli italiani, la scelta di devolvere l’otto per mille non ha proposto molte alternative. Si tratta di una torta che vale centinaia di milioni di euro, ma a spartirsela sono soltanto sei confessioni religiose. A fare la parte del leone è la Chiesa cattolica, che anche questa primavera, come ogni anno, ha inondato le tv di spot, prendendo alla lettera l’evangelico “chiedete e vi sarà dato”. Oltre allo Stato italiano e alla Chiesa cattolica, sono solo altre cinque le confessioni ammesse a beneficiare del contributo dalla dichiarazione dei redditi: la Chiesa cristiana avventista del settimo giorno, le Assemblee di Dio in Italia, l’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, la Chiesa evangelica luterana in Italia e l’Unione delle comunità ebraiche italiane. E le altre religioni, che in molti casi possono contare su moltissimi fedeli nel nostro Paese, come mai non possono essere scelte per l’otto per mille?
Perché una comunità religiosa possa entrare a far parte delle istituzioni “riconosciute”, occorre che vi sia una intesa stipulata con lo Stato italiano e che tale accordo sia ratificato dal Parlamento. Ma non è così facile. Ne sanno qualcosa i Testimoni di Geova la cui intesa con lo Stato è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 2000 e sottoscritta dal Governo il 20 marzo dello stesso anno, ma non è mai stata ratificata dal Parlamento. A distanza di dieci anni, i 250.000 Testimoni di Geova possono devolvere il proprio otto per mille a favore dello Stato, di un’altra confessione, o non firmare affatto. In quel modo anche loro entrerebbero nel calderone dei “non esprimenti alcuna preferenza”, i cui contributi vengono spartiti tra lo Stato e le confessioni presenti sui moduli del 730.
Analoga sorte per i buddisti, circa 103.000 in Italia, che hanno firmato l’intesa nell’ottobre 1999, ma, neanche loro, hanno mai visto ratificato dalle camere l’accordo stipulato. Una sorte condivisa con molti altri gruppi religiosi: l’Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa meridionale, la Chiesa apostolica in Italia, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, meglio conosciuti come mormoni e infine l’Unione induista italiana. Tutte con intese “pendenti” e in attesa di ratifica.
E poi resta aperta la questione di introdurre la comunità musulmana fra i beneficiari dell’otto per mille. Secondo il dossier 2008 della Caritas, In Italia l’Islam è la seconda religione con 1.300.000 fedeli. Ma la “frammentarietà” del culto, l’assenza di una gerarchia precisa, rendeva problematico stipulare una possibile intesa. Nel 2005, l’allora ministro dell’Interno Pisanu ha istituito la Consulta per l’Islam italiano. Tre anni dopo è nata anche l’omonima federazione che, in vista di un’intesa con lo Stato, raccoglie quelle organizzazioni musulmane che si riconoscono nei principi della Costituzione repubblicana e della Carta dei valori. La Lega Nord si è messa di traverso e, facendo propria la battaglia in difesa delle cosiddette radici cristiane, ha promesso di dare battaglia affinché la Federazione per l’Islam italiano non venga riconosciuta a livello giuridico.
Ma, al di là della propaganda leghista, perché le intese stipulate da almeno un decennio non sono ancora state ratificate dal Parlamento? L’inserimento di altre confessioni nella distribuzione dell’otto per mille aumenterebbe la percentuale di chi esprime una scelta, farebbe diminuire il numero delle scelte inespresse e ridurrebbe il divario tra la percentuale di scelte per un determinato ente e la percentuale del gettito devoluto all’ente stesso. L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti sostiene che per questo motivo la Chiesa cattolica, attraverso i parlamentari cattolici, ha di fatto bloccato la ratifica degli accordi già sottoscritti e impedito l’avvio di trattative con gli islamici: i fedeli di queste religioni, grazie al meccanismo delle scelte inespresse, porterebbero alle loro gerarchie un contributo ben superiore alla loro percentuale reale, con un mancato apporto economico per la Chiesa cattolica valutabile in centinaia di milioni di euro.
Vania Lucia Gaito