«Andiamo, ho finito», dice al sindaco con il tono di chi sta per salire sul patibolo.
La mafia al supermercato
Nicola Mandalà attende Francesco al centro commerciale Corvaia, appena fuori il paese, assieme a Mario ed Ezio4, i suoi inseparabili guardaspalle.
Erano sempre in gruppo quei tre. Di giorno come di notte. A volte andavano anche a donne assieme: tiravano su delle ragazze dell’est, delle entrenouse, le caricavano sulla Bmw X3 del capomafia e le portavano al Jolly Hotel di Palermo. Quando accadeva Nicola tornava in paese stravolto e restava a casa anche due giorni prima di riprendersi.
Ma ora il boss sembra tranquillo, anche rispetto alla mattinata. Il suo volto ha ripreso quei lineamenti paciosi che tanto lo fanno somigliare a una versione appena più magra e più giovane (ha solo 34 anni) di Sasà Salvaggio, il comico siciliano che ha pure condotto “Striscia la notizia”.
«Ola, Francesco», saluta sorridendo mentre si distacca dai due picciotti. Il tempo di un doppio bacio sulle guance e Nicola e l’ex segretario dei giovani dell’Udeur sono già dentro il vasto capannone del Corvaia, il posto che Nicola chiama «il mio ufficio».
Non che quel centro commerciale fosse realmente suo. I proprietari, titolari di molti di mega empori sparsi per la Sicilia, sono però degli amici. Qualche anno prima, dopo aver chiesto la dovuta autorizzazione a Nicola, hanno aperto anche a Villabate. Lui garantisce la propria protezione, loro hanno assunto i suoi raccomandati e gli permettono di utilizzare a piacimento tutti i locali, dai depositi, agli uffici. L’operazione Corvaia è andata così bene che Nicola e suo padre adesso pensano di replicarla in grande, mettendo a segno il colpo che avrebbe sistemato per sempre la famiglia, anzi tutte le famiglie di mafia della zona: la costruzione da parte di una società di Roma, la Asset Development, del più grande ipermercato Auchan di tutta l’isola. Un centro commerciale enorme, con tanto di cinema multisala della Warner Bross, che avrebbe ospitato centinaia di negozi. Con la società di Roma sono stati conclusi accordi precisi. Nicola è persino andato fino a Vimercate, in provincia di Milano, per vedere un megastore che i romani avevano già edificato. I suoi uomini sono stati sguinzagliati sull’area scelta dal Comune per il nuovo centro e con le buone o con le cattive stanno convincendo a vendere i 152 proprietari dei diversi appezzamenti di terreno. Francesco è stato nominato consulente del sindaco Carandino proprio per seguire l’affare. Ha illustrato il progetto al presidente della Regione Cuffaro, mentre sui funzionari e alcuni consiglieri comunali, stanno per piovere o sono già piovuti, decine di migliaia di euro di tangenti. Il denaro è stato versato grazie a una serie di fatture per consulenze fittizie emesse in favore della Asset Development da una off shore maltese che si occupa di telecomunicazioni, la Ti & T, aperta dall’ex sindaco Dc di Catania Angelo Lo Presti. A individuarla è stato Francesco. Il figlio di Lo Presti è un suo amico ed è il capo di gabinetto dell’europarlamentare Raffaele Lombardo, il fondatore del Movimento per l’autonomia, che nel 2005, alleandosi con la Casa delle Libertà, permetterà al centrodestra di vincere le elezioni comunali a Catania.
Francesco ha scelto la Ti & T di Malta perché gli hanno raccontato che in passato era stata utilizzata per foraggiare con una maximazzetta addirittura due ministri5 che si erano occupati della gara per l’assegnazione delle licenze per i telefonini Umts. Lui non sa se sia vero. Nel mondo della politica si dicono tante cose. È certo però che anche l’ipermercato di Villabate è un bel business. A operazione conclusa l’intero investimento, finanziato da un fondo pensione tedesco, costerà 200 milioni di euro.
Francesco e Nicola adesso passeggiano per l’ala destra del centro Corvaia, la parte transennata e chiusa al pubblico, perché sono in corso dei lavori di ristrutturazione. Lì, in un corridoio così ampio da sembrare la navata centrale dello Spasimo di Palermo, Francesco spiega al capomafia l’accaduto. Gli dice di non aver trovato i timbri, di aver fatto il meglio che ha potuto. Insomma si giustifica e timoroso gli restituisce la carta d’identità: «Guarda, non è che ho ottenuto un gran risultato».
«Ma, è… è perfetta, va benissimo»
«Perfetta? Davvero? Scusa Nicola, ma a voi che vi serve?»
«È per lo zio, ‘u ziu Binu»
Francesco resta un secondo in silenzio. Che il documento fosse destinato a Provenzano lo aveva già capito da solo quella mattina in banca. In passato, del resto, quando Nicola gli aveva parlato di decisioni prese «dalle alte sfere», di «autorizzazioni», di «occhi dall’alto», aveva pensato che si riferisse ai vertici di Cosa nostra. Ma non al «vertice». Avere la conferma, così su due piedi, che tra il Capo dei capi, il latitante che tutti cercavano (o avrebbero dovuto cercare) da quarant’anni, e il suo amico c’erano rapporti diretti, beh lo lascia quasi senza parole.
«Scusa, ma con lui viaggiate così in tranquillità?»
«Come abbiamo sempre fatto, da tre anni a questa parte. Io lo porto in giro in macchina, però questa volta lo dobbiamo portare all’estero perché si deve operare e abbiamo bisogno di questa carta d’identità».
A Nicola che il documento sia stato palesemente falsificato non importa nulla. Intanto servirà solo in ospedale. Provenzano ha un tumore alla prostata e l’intervento sarà eseguito a Marsiglia. La Regione Sicilia rimborsa i ricoveri nelle strutture private, anche se avvengono oltre frontiera. Alla Usl 6 di Palermo i documenti che accreditano Troia, l’alias del capo dei capi, sono già pronti. La carta d’identità sarà insomma mostrata solo al momento dell’accettazione: improbabile che in Francia si accorgano di qualcosa. L’unico rischio sono le forze dell’ordine italiane. Così Nicola preferisce essere prudente. Chiede a Francesco di procurargli tre telefonini. Li vuole «vergini», cioè con delle schede Sim mai utilizzate prima, «carichi di denaro», cioè con la possibilità di fare chiamate per almeno 250 euro per ciascuno e «senza documento». Ma è impossibile: quando in negozio ci si collega al sito della Tim per attivare una nuova utenza, sul computer si apre una schermata in cui i campi che contengono i dati anagrafici del proprietario sono obbligatori. E non si possono fare eccezioni, per nessuno. Persino il presidente Totò Cuffaro, quando si è rivolto a lui per avere degli apparecchi cellulari da usare privatamente, ha dovuto farli intestare a una segretaria e allo stesso Francesco Campanella. Così, alla fine, Nicola si convince e decide d’utilizzare i documenti di Tiziana, la sua amante, e quelli di un amico, un imprenditore che spesso funge da suo prestanome. Due persone facilmente riconducibili a lui.
Tre anni dopo sarà proprio l’analisi del traffico telefonico di quei cellulari a raccontare agli investigatori della squadra mobile di Palermo e dello Sco della polizia, coordinati dai pm Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Marzia Sabella e Maurizio De Lucia, il resto della storia.