Primarie per i candidati, ma il programma? Certo, il governo tecnico invocato da buona parte dell’opposizione avrebbe l’indubbio vantaggio di attirare l’attenzione mediatica sull’inedita coalizione, magari nella speranza che questa si dimostri in grado non solo di rimuovere la maialesca legge elettorale, ma di governare una vera e propria transizione verso la nuova legislatura, e B. verrebbe provvidenzialmente posto in secondo piano per qualche mese. Ma le elezioni, prima o poi, arriveranno. E la mancanza di un programma, oltre che di un leader e persino di slogan alternativi alla destra (perché il Pd non si sia dedicato alla costruzione dell’alternativa a partire dal lancio del nuovo governo di B., nel 2008, resta un mistero) si farà inevitabilmente sentire.
I lettori del Fatto Quotidiano si sono giustamente schierati a favore delle primarie: un passo significativo, tanto più in previsione di un aumento deciso dell’astensionismo, l’unico alleato davvero fedele sul quale B. può contare. Chiunque vinca le primarie della coalizione, però, non potrà vincere contando unicamente sull’appeal della sua persona: essere alternativi a B. significa anche vincere diversamente da come farebbe lui. Difficilmente potremo andare al governo sventolando unicamente la bandiera della legalità sulla quale per fortuna oggi insiste anche Fini: abbiamo bisogno di motivi forti per i quali elettori delusi, stanchi e rassegnati dovrebbero votare per il nostro schieramento. Occorrono idee prioritarie per il programma di governo che intendiamo presentare, e primarie per quelle stesse idee.
Quale, anzitutto, la posizione di un’opposizione che si candidi a governare rispetto alle poche riforme approvate dal governo di B.? Gli elettori vorrebbero certo sapere, credo, se intendiamo ad esempio cancellare la sciagurata riforma dell’università; se il nostro modo di gestire l’economia si ispirerà davvero a efficienza ed equità sociale insieme, coniugando una seria lotta a sprechi e rendite con la volontà di salvaguardare il tessuto sociale prima del valore azionario delle nostre imprese; se intendiamo tornare a un regime meno repressivo in materia di diritti civili, di dipendenze, d’immigrazione, o se al contrario difenderemo a oltranza, magari a semplice tutela dei difficili equilibri che reggeranno la coalizione, le riforme promosse dal “governo del fare”.
Chi se non i più attenti e partecipi tra gli elettori stessi possono aiutare l’opposizione (evidentemente incapace, e ciò non è normale, di una simile avanguardia) a individuare i temi suoi quali organizzare il consenso per il cambiamento? Certo, organizzare primarie di idee è tutt’altro che semplice. Si potrebbe però prendere a prestito il metodo delle primarie, e arrivare a stabilire le priorità dell’alternativa di governo a partire dai nomi della società civile che i lettori del Fatto inserirebbero nell’ideale squadra da porre alla guida del paese. Due esempi: Luciano Gallino, per le sue proposte concrete in tema di flessibilità del lavoro (riduzione delle miriadi di contratti resi possibili dalla legge 40 alle poche davvero indispensabili categorie contrattuali); e Giorgio Ruffolo, per continuare con l’economia: il Ruffolo padre della programmazione economica (concetto del tutto estraneo al governo di B.) e il Ruffolo critico della finanziarizzazione estrema che accompagna il globalizzarsi dell’economia. E così via. Primarie sì, senza se ma con un ma: il leader, da solo, non ci farà vincere. Servono idee e priorità chiare, sulla base delle quali costruire l’alleanza. E occorre che a esprimerle siano innanzitutto gli elettori: il forum del Fatto può essere uno strumento di importanza decisiva.