“La televisione di Stato è sempre stata soggetta al controllo politico. Tuttavia negli ultimi anni un rilevante numero di manager di lungo corso sono stati rimossi dai loro incarichi e sostituiti da persone leali al Governo e di gradimento di quest’ultimo. Le restrizioni alla libertà di informazione dei giornalisti sono divenute forti. (…) l’informazione diffusa dai telegiornali è rigorosamente controllata dai nuovi manager e dai direttori dei Tg…Il direttore del Tg decide quali argomenti possono essere trattati sulla base di una selezione preparata da un’agenzia di stampa di Stato…le informazioni relative alla maggioranza di Governo e/o a visite ed impegni istituzionali del Presidente hanno la priorità sulle altre.
Solo un gruppo di giornalisti e tecnici di fiducia (n.d.r. del Governo) viene utilizzato per interviste e servizi di natura politica…benché da sempre i giornalisti (n.d.r. della Tv pubblica) siano stati sotto il controllo editoriale, negli ultimi anni, ricevono, addirittura, indicazioni sul tono da usare e sul taglio da dare al pezzo e, talvolta, i pezzi sono loro dettati…le interviste ed i servizi che non sono trasmessi in diretta sono selezionati e modificati in modo da porre la maggioranza politica nella migliore luce…i servizi sulle attività dei membri del governo, durato tra i 3 ed i 5 minuti mentre quelli su altri argomenti tra 60 e 90 secondi…con il risultato che i 2/3 del tempo dei servizi dei Tg è dedicato al Governo. Ogni manifestazione o evento organizzato dall’opposizione, da organizzazioni non governative o da persone con una visione delle cose diversa da quella del partito di maggioranza può essere omessa dai telegiornali”.
Sin qui, verrebbe da dire, nulla di nuovo. È “solo” la drammatica situazione del rapporto tra Governo e Tv di Stato nel nostro Paese che ormai conosciamo tutti.
La novità è tuttavia rappresentata dalla circostanza che quello che precede non è l’incipit di un pezzo scritto da un qualche giornalista “comunista” duro a piegarsi al pensiero unico di Palazzo ma, uno stralcio ripreso letteralmente da una Sentenza con la quale il 17 luglio scorso la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Repubblica della Moldova per non aver garantito la libertà di informazione ed aver anzi consentito che la Tv pubblica fosse asservita a scopi propagandistici in evidente violazione delle più elementari regole del pluralismo.
A leggere la Sentenza viene, davvero, il dubbio che Mister B. abbia con la Tv di Stato un rapporto identico a quello proprio di certi regimi comunisti dei quali dice di aver paura e per resistere ai quali, ormai da anni, invita i cittadini a ritrovarsi sotto la bandiera del popolo della libertà .
In Italia, il pluralismo dell’informazione è ormai un ricordo di alcuni ed una timida aspirazione di molti, il telegiornale della rete ammiraglia della Tv di Stato è diretto – sebbene per interposta persona – da Palazzo Chigi, il direttore generale della Rai – Mauro Masi, approdato a Viale Mazzini direttamente da Palazzo Chigi dove era il Segretario Generale della Presidenza del Consiglio e, quindi, anche del Premier – parte per le vacanze, “dimenticando” di firmare il via libera alle trasmissioni più invise a Mister B e l’elenco delle “bravate” da regime potrebbe proseguire ancora per migliaia di battute.
Continuando a leggere la Sentenza della Corte Europea, il sospetto di una somiglianza tra la situazione italiana e quella Moldava – Repubblica in mano, appunto, ad una forte maggioranza comunista – diviene certezza e non già di semplice somiglianza ma di assoluta identità.
Il rapporto tra Regime moldavo e tv di Stato e quello tra Governo italiano e Rai appaiono, tecnicamente, identici e sovrapponibili.
Proseguono, infatti, i Giudici della Corte Europea, riferendo la tesi dei ricorrenti, accolta nella Sentenza: “Nessun partito dell’opposizione ha accesso a air-time ed esiste una blacklist di persone del mondo politico, culturale e scientifico che non supportano il Partito Comunista ed alle quali non deve essere permesso l’accesso alla Tv di Stato”.
Mi sembra di ricordare che qualcosa del genere sia avvenuto anche in Italia in occasione di un c.d. “editto bulgaro” (forse, ora, da ribattezzare come moldavo!) quando addirittura Biagi, Santoro e Luzzati vennero allontanati dalla Tv di Stato – quella italiana e non quella Moldava – in diretta televisiva.
Ma la lettura della Sentenza contiene altri passaggi che sembrano usciti dalla penna di un romanziere satirico italiano.
“Nelle rare occasioni in cui un politico dell’opposizione viene intervistato – si riferisce ancora nella Decisione – l’intervista viene troncata o le sue parole vengono coperte da quelle del giornalista che commenta l’intervista con un testo fornitogli dalla Moldpress, l’agenzia stampa del Governo.
Anche i programmi diversi dai telegiornali sono soggetti alla censura. I temi controversi sono evitati; l’identità degli ospiti e del pubblico in Studio è controllata; i programmi in diretta e quelli che prevedono un’interazione con il pubblico sono evitati e le telefonate sono selezionate.
Il palinsesto settimanale della Tv di Stato è approvato dal Presidente ed i programmi non approvati sono cancellati senza alcun avviso preventivo e senza spiegazioni”.
Nessuno dei giornalisti “epurati” dalla Rai o vittime della nuova linea editoriale del TG della Rete ammiraglia dovrebbe sottrarsi alla lettura della Sentenza e nessuno dei legali che li assistono o assisteranno tirarsi indietro dall’esaminare riga per riga le 20 pagine della Sentenza con la quale i Giudici di Strasburgo hanno messo nero su bianco quello che ogni italiano pensa, ormai, da anni: utilizzare la Tv di Stato come megafono per il pensiero unico di un partito di maggioranza significa tenere un comportamento anti-democratico e violare la libertà di informazione in modo grave ed intollerabile.
Con tutto il rispetto per gli amici moldavi, francamente, il nostro Paese, forse, merita qualcosa in più che doversi riconoscere nell’istantanea scattata dai Giudici della Corte europea dei diritti dell’uomo di un Paese antidemocratico e sottoposto ad un regime sulla carta repubblicano ma nei fatti quasi totalitario.
La circostanza poi che il regime in questione sia “comunista” nel significato deteriore del termine, rende impossibile sottrarsi dal rivolgere una domanda al nostro Premier.
Mister B., non se la prenda e non mi trovi impertinente, ma non starà mica diventando comunista?
A volte si ha paura delle cose che ci rassomigliano di più.