Che cosa c’è di più limpido dell’acqua? E perché, proprio sull’acqua, le mani più torbide del Paese vogliono mettere le mani per fare i soliti, sporchissimi affari?
La politica delle lottizzazioni e degli sprechi ci ha raccontato per anni la storiella che il mercato è bello, efficiente, sano e conveniente. Ci ha detto, privando riforma dopo riforma gli enti locali della gestione diretta di gran parte dei servizi erogati ai cittadini, che il pubblico non era più in grado di gestire nulla: troppi pochi soldi, troppi ritardi ed errori, troppo controllo da parte dei partiti sui posti di lavoro.
Il privato, dunque, sembrava la soluzione a tutti i mali. Così, mentre in televisione i segretari di quasi tutti i partiti politici sgomitavano per sproloquiare di federalismo e riforme, ecco che i consigli comunali dei tanti piccoli e medi comuni italiani si vedevano via via sottrarre la gestione del gas, dei rifiuti, dell’acqua.
A una quindicina di anni di distanza possiamo dire, senza timore di smentita, come sono andate effettivamente le cose. E’ importante dirlo, alla vigilia di un referendum che grazie ad una mobilitazione straordinaria e senza precedenti, ci chiamerà a batterci per impedire l’ultimo scempio, l’ultima grande bestemmia liberista: trasformare un bene comune come l’acqua in una merce da vendere.
Sono stati realizzati dei consorzi, delle ex municipalizzate, delle società quotate in borsa: con finte gare d’appalto hanno ottenuto concessioni ventennali per gestire infrastrutture e servizi creati e manutenuti nei decenni grazie alle tasse dei cittadini.
Nei loro consigli di amministrazione hanno continuato a sedere e banchettare i partiti (di destra e di sinistra), forse più di prima. Le tariffe in compenso non sono affatto diminuite, ed è al contempo aumentata la distanza tra i gestori di un servizio e il cittadino, trasformatosi strada facendo in un utente.
Gli investimenti, che avevano giustificato buona parte delle privatizzazioni più o meno evidenti con la scusa che lo Stato non aveva più soldi da spendere, sono addirittura diminuiti, lasciando cadere a pezzi intere reti, strutture e impianti.
Basti pensare ai circa 2,61 miliardi di metri cubi di H2O che spariscono ogni anno dagli acquedotti italiani per capire di che cosa stiamo parlando.
E i soldi buttati dalla finestra? Le società di gestione degli acquedotti, infatti, tirano fuori quattrini per fornire l’energia elettrica e i servizi al fine di immettere l’acqua nelle condutture. 2,61 miliardi di metri cubi sprecati equivalgono a circa 230 milioni di euro spesi per niente ogni anno, da un sacco di anni…
Ecco perché è ancora più importante e assume valore la straordinaria mobilitazione collettiva che, nelle scorse settimane, è riuscita a raccogliere quasi un milione e mezzo di firme a favore dei referendum per l’acqua pubblica.
Ecco perché quella raccolta è stata frutto di un lavoro di rete, dal basso, che ha contagiato centinaia di realtà nazionali e locali in tutta Italia, ad esclusione dei partiti politici, rimasti nel migliore dei casi alla finestra, o giù in strada a boicottare e fare disinformazione.
Un partito a favore della privatizzazione dell’acqua è un partito morto, perché contro la vita!
Per informazioni:
http://www.acquabenecomune.org/
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