Sorpresa in Australia. Dopo la lunga giornata elettorale, la notte ha portato un risultato che non si vedeva dal 1940: un parlamento “appeso” (hung parliament) dove né il Labor guidato dalla premier uscente Julia Gillard, né il Liberal Party, dello sfidante Tony Abbott hanno ottenuto la maggioranza di 76 parlamentari necessaria per guidare la Camera dei Rappresentanti e formare il governo. La situazione è ormai delineata quando lo spoglio delle schede ha raggiunto quasi l’80%, e l’emittente televisiva pubblica ABC prevede un risultato definitivo con 72 seggi per la sinistra e 73 per i Liberali. Tutto fa pensare che a Canberra si aprirà lo scenario inedito del governo di coalizione, in cui saranno determinanti i voti dei tre indipendenti e soprattutto dei Verdi, che hanno conquistato un seggio chiave.

Drammatico il calo dei consensi per il Labor al governo, che perde ben 16 rappresentanti alla Camera bassa, e vengono così sconfitti dopo il primo mandato, come non accadeva in Australia dal 1932. Il risultato negativo per la sinistra si è evidenziato in particolare in due stati importanti come il Queensland e New South Wales. Nella notte la premier in carica Gillard aveva commentato a caldo il risultato incontrando i militanti del suo partito nel quartier generale di Melbourne. “Il popolo si è espresso, aveva detto citando Hillary Clinton, ma per capire cosa ha detto ci vorrà tempo”. Nelle ore successive la sconfitta laburista è diventata invece più chiara, ma parallelamente non ha potuto cantare vittoria il leader della destra Tony Abbott, sulle cui capacità di governo gli elettori nutrivano evidentemente forti dubbi. Ex seminarista e falco conservatore, responsabile di una campagna elettorale che ha incalzato i laburisti sui temi dell’immigrazione, dell’ambiente, e non da ultimo sulla “opzione repubblicana” espressa da Gillard a pochi giorni dal voto (la destra australiana è monarchica, e la maggioranza del paese sembra esserlo con lui), Abbott ha già chiesto espressamente a Gillard di farsi da parte. Ma l’avvocato 48enne che guida il Paese solo da luglio dopo il rovescio dell’ex premier laburista Rudd, non è intenzionata a lasciare.

Ieri dunque 14 milioni di elettori australiani sono stati chiamati alle urne. Le elezioni, anticipate rispetto alla scadenza naturale della legislatura in ottobre, sono state indette dalla stessa Gillard. Solo due mesi fa i parlamentari laburisti avevano sfiduciato il premier in carica Kevin Rudd, al governo dal 2007, in discesa libera di consensi. Due le leggi controverse presentate dal suo governo: il piano di riduzione dei gas inquinanti e una tassa del 40% sui profitti delle aziende minerarie. Dopo aver rimandato l’applicazione della prima e non essere riuscito ad imporre la seconda, il Labor lo ha sfiduciato e sostituito con Gillard, prima donna della storia a guidare l’Australia, che dopo tre settimane dall’incarico, forte dei sondaggi che la davano allora vincente, ha voluto far tornare la parola agli elettori.

Come risultato ha ottenuto un parlamento senza maggioranza, e in queste ore è a lavoro per provare a formare un governo di coalizione. Con la complicazione che i tre indipendenti, pur dicendosi pronti a parlare con chi farà loro l’offerta migliore, e dunque anche con il Labor, sono fuoriusciti del partito conservatore. I Verdi, terzo partito guidato dal senatore Bob Brown, sono più che mai l’ago della bilancia: potrebbero dare una mano a Gillard tanto alla Camera bassa che al Senato.

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