Se un premier come Berlusconi pensa sempre ai suoi interessi aziendali e a come farla franca, è inevitabile che il cosiddetto processo breve riemerga alla luce del sole come una priorità, anche se spacciato per una norma al servizio dei cittadini.
Ed è disposto a tutto perché diventi legge. Il ddl, definito “devastante” dall’Anm, è l’unica legge che gli evita una condanna molto probabile al processo per la corruzione di David Mills, l’avvocato riconosciuto falso testimone prezzolato, ma graziato dalla prescrizione in Cassazione. Il cavaliere rischia anche una condanna, sia pure solo in primo grado, anche al processo per la compravendita dei diritti-tv di Mediaset. E lui non lo vuole il giudizio dei giudici di Milano, neppure per una volta. Non gli basta essersi comunque garantito l’impunità con una delle leggi ad personam del passato, la ex Cirielli che avendo dimezzato la prescrizione per reati come la corruzione, gli eviterà una sentenza definitiva. Per questi processi, ibernati dal legittimo impedimento “ad premier e ministri”, vuole l’assicurazione integrale. Anche perché il 14 dicembre la Consulta probabilmente boccerà l’ennesimo scudo, e il desiderato lodo Alfano costituzionale ha tempi lunghi. Risultato: deve far presto a trovare una via d’uscita ad hoc, altrimenti i processi ricominciano, compresa l’udienza preliminare per Mediatrade-Rti, costola dell’inchiesta Mediaset, per cui è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale.
Il processo breve, approvato a gennaio al Senato e finito su un binario morto alla Camera, per lui è perfetto, anche se sarebbe “uno tsunami per la giustizia”. Così ha detto il Csm che l’11 novembre ha reso noti i dati forniti dai principali uffici giudiziari. A Roma, Torino e Bologna, in base alla proposta di legge, si estinguerebbero oltre il 50% dei procedimenti in dibattimento o in fase di udienza preliminare. Va appena un po’ meno male a Firenze, Napoli, e Palermo, dove l’estinzione sarebbe tra il 20 e il 30%. Dati che hanno smentito clamorosamente il ministro Alfano: una settimana prima aveva parlato appena dell’1% di procedimenti a rischio. Il Consiglio ha definito il ddl incostituzionale (viola il principio del giusto processo, dell’obbligatorietà dell’azione penale, dell’uguaglianza dei cittadini) e ha parlato di un’amnistia per reati “di considerevole gravità”, come la corruzione e i maltrattamenti in famiglia. È la norma transitoria la chiave della salvezza per Berlusconi. Il testo prevede che per i reati indultabili, commessi fino al 2 maggio 2006, e con una pena inferiore ai 10 anni, la normativa valga anche per i processi di primo grado in corso. In questo caso l’estinzione scatta in primo grado se non c’è stata la sentenza dopo 3 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. In appello dopo due, in Cassazione dopo un anno e mezzo. Per reati come mafia e terrorismo, i termini sono rispettivamente di cinque, tre e due anni, inoltre il giudice può prorogare di un terzo i termini. Ma comunque sarebbero a rischio i processi soprattutto contro la borghesia mafiosa. Se ci fosse stata questa legge, Marcello Dell’Utri si sarebbe salvato in primo grado dalla condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
Berlusconi nell’ultimo vertice a palazzo Grazioli ha parlato anche di riforma del Csm. I tentacoli della P3 non gli sono bastati. Il Consiglio deve pagare pegno per la sua levata di scudi contro leggi ritenute non solo ad personam ma anche disastrose per i cittadini. Ed ecco che il cavaliere vuole oltre che separare la carriera di pm e giudici, formare anche due Csm. Punta anche all’aumento dei consiglieri laici, quindi di nomina politica, e si vuole sbarazzare dei pareri che l’organo di autogoverno dei magistrati può fornire in materia di giustizia. Infatti già nella primavera scorsa, quando il Csm ha criticato Alfano per aver mandato gli ispettori alla procura di Trani che stava indagando su Berlusconi e le pressioni all’Agcom per far chiudere Annozero, il ministro ha detto: “D’ora in poi i pareri se non richiesti li rimanderò indietro a Palazzo dei Marescialli con il postino”. Non poteva mancare neppure il rilancio della legge bavaglio o “guerra santa contro le intercettazioni”, come l’ha definita il premier. E ha ribadito che non gli piace l’ultima versione ferma alla Camera: “Con questa legge il problema delle intercettazioni non si è risolto affatto”. Certo, il cavaliere non solo vuole azzoppare le indagini ma pretende per la stampa un bavaglio integrale e non il bavaglino partorito da Montecitorio, che è pur sempre censura. Ma le mezze misure si sa, a Berlusconi non piacciono.