Se lo domanda come fecero Cernyševskij e dopo di lui Lenin: Che fare? Che fare, ora che “la casa editrice per cui io pubblico, a quanto pare, godendo di favori parlamentari ed extra-parlamentari, pagherebbe al fisco solo una minima parte (8,6 milioni) di un antico debito (173 milioni richiesti dal fisco)? Come posso fare dell’etica la stella polare della mia teologia e poi pubblicare i miei libri con un’azienda che non solo dell’etica ma anche del diritto mostrerebbe, in questo caso, una concezione alquanto singolare?”. A porsi il quesito, sulle colonne di Repubblica, è Vito Mancuso, teologo ed ex sacerdote, folgorato sulla via di un lungo articolo di Massimo Giannini, vicedirettore dello stesso giornale , in cui si raccontava del regalino fiscale (ne aveva dato notizia anche il Fatto, si veda il pezzo qui sotto) recapitato dal Parlamento all’azienda presieduta dalla figlia di Papi.
Dilemmi da scrittore
La domanda se la sono fatta in molti, negli ultimi tempi. Anche per via della legge bavaglio che prevede(va?) sanzioni pesantissime per gli editori. In quell’occasione gli autori – soprattutto quelli di Einaudi – furono in grande imbarazzo: si può passare sopra certe posizioni? O è più importante il prestigio, la potenza di diffusione, la capacità di far finire i libri sui giornali? Finché il direttore editoriale dello Struzzo, Ernesto Franco, prese pubblicamente una posizione abbastanza esplicita e critica sulla vicenda, anche perché “vivamente sollecitato” da Gustavo Zagrebelsky, costituzionalista e perciò piuttosto sensibile al tema di una legge con ben poco di legittimo. Dopo cene infuocate – si racconta – e numerose telefonate, via Biancamano si assunse la responsabilità della propria storia. Come dire: Pavese, Bobbio, Ginzburg, Giaime Pintor non sono solo bandierine da agitare alla bisogna come vessillo di democrazia, libertà e valori civili. Ma i problemi di narratori e saggisti, non sono solo di coerenza. Sono anche umani: Carlo Fruttero, per dirne una, pubblica con Mondadori, lavora con i suoi editor e la sua struttura da una vita. In più – fanno notare gli addetti ai lavori – dopo l’arrivo di Berlusconi in molti, all’interno di Einaudi, hanno cercato di tenere ferme certe posizioni. Non fino al punto di pubblicare quel Quaderno in cui José Saramago se la prendeva con Berlusconi. Come oggi, nemmeno allora ci fu una fuga di massa degli intellettuali di sinistra. E poi, e poi, non per esser venali, ma pecunia – notoriamente – non olet. E infatti Mancuso spiega: “Da un lato il poter far parte di un programma editoriale di prima qualità venendo anche ben retribuito, dall’altro il non voler avere nulla a che fare con chi speculerebbe sugli appoggi politici di cui gode”. Sono vasi comunicanti, però: i soldi escono (o non entrano, che poi è lo stesso) nelle casse dello Stato e finiscono in quelle degli autori di Segrate.
La difficoltà dell’abbandono
Molti i chiamati in causa – non ancora alle armi – da Mancuso, che con Segrate collabora da molti anni: Corrado Augias, Pietro Citati, Federico Rampini, Roberto Saviano, Nadia Fusini, Piergiorgio Odifreddi, Michela Marzano. Eugenio Scalfari, Gustavo Zagrebelsky, Adriano Prosperi. All’elenco manca, forse per pudore, Carlo De Bendetti che quando smette i panni dell’editore (di Repubblica) e prende la penna, scrive articoli per il Sole 24 Ore e saggi proprio per Mondadori. Sia pure nella collana Strade Blu che, con il suo direttore Andrea Cane, gode di una sorta di extraterritorialità creativa a Segrate. Una volta De Benedetti ha scritto perfino sul Foglio di Giuliano Ferrara, il giornale che lanciò Mancuso un paio di anni fa (e chissà come soffre, oggi, il teologo al pensiero di aver preso lo stipendio da Denis Verdini, uno degli azionisti forti del Foglio). Quasi nessuno degli scrittori sollecitati da Mancuso ieri era reperibile (gli intellettuali il sabato pensano). L’unico che risponde è Corradro Augias, coautore di Mancuso proprio per Mondadori: “Sono un po’ in imbarazzo, inutile negarlo. Ho anche un libro in uscita per Mondadori a fine mese”. Il tema, però, è delicato: Augias lavora con la Mondadori da vent’anni, non ha mai subito pressioni, in un libro da mezzo milione di copie ha raccontato anche come Berlusconi mise le mani sulla villa di Arcore sottraendola a un’orfana minorenne. “Ma è vero che in questo caso la questione riguarda l’azienda, non Berlusconi”. Azienda che, però, si è limitata a usare una legge fatta su misura, il solito conflitto di interesse berlusconiano. Roberto Saviano non ha mai sciolto il riserbo: lascerà la Mondadori dopo gli attacchi del premier padre-padrone e l’incrocio (giornalistico) di spade con la figlia Marina? Non è dato saperlo. Ma forse è la stessa Marina a cominciare a irritarsi un po’ per questi tormenti di coscienza a mezzo stampa e dovrebbe replicare a Mancuso già oggi.
All’appello del teologo alle firme di Repubblica manca un nome, quello di Michele Serra. Perché lui la Mondadori la lasciò subito: “Se arriva Berlusconi me ne vado io”. Lo fece, da vent’anni scrive per Feltrinelli: un’alternativa c’è sempre.

Di Stefano Feltri e Silvia Truzzi

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