“L’Italia ha bisogno di fascismo”. Ha ragione Giorgio Bocca, che in una recente intervista rilasciata a Il fatto ricordava come questo Paese possieda, nel suo dna, una sorta di gene politico e culturale della devianza democratica, un gene insano e mai totalmente sradicato, non ravvisabile nel resto di un’Europa che pure il totalitarismo ha conosciuto e, se vogliamo, addirittura vissuto in forma più aspra e duratura del ventennio italico. Ha ragione nel sostenere che questa patologia nazionale è testimoniata dalla tenuta del potere di Berlusconi, inteso come neo-autoritarismo che domina da oltre 15 anni e che appare un unicum rispetto al resto del Vecchio Continente, segnato anch’esso dai totalitarismi ma capace di non ripetere in epoca moderna gli errori passati. In Europa c’è solo Berlusconi, un politico a lui assimilabile non esiste. Solo Berlusconi attacca la magistratura, solo Berlusconi parla della Costituzione come di un deterrente alla modernizzazione dello stato, solo Berlusconi azzera il dibattito parlamentare imponendo l’approvazioni di leggi a colpi di fiducia, solo Berlusconi delegittima le istituzioni (come la Consulta o la presidenza della Repubblica) affermando che sono espressioni della sinistra. Ha ragione dunque Bocca a lanciare l’allarme su come questo gene antidemocratico che cova nel dna italiano possa oggi essere pericoloso per la democrazia, in grado di produrre, nonostante il sofferto Novecento, i suoi frutti amari: una stagione di regime apparentemente nuovo nelle modalità e nella forma, ma sostanzialmente antico nell’illiberalità imposta.
La criminalizzazione del migrante, perseguito e perseguitato perché clandestino (la clandestinità è diventata da infrazione amministrativa a reato penale, secondo le norme razziste volute dalla Lega) è una riedizione della vecchia colpa d’autore di Hitler, dove sotto accusa di fronte alla legge (del più forte) è posta la condizione esistenziale e non il comportamento dell’essere umano. Quel costante richiamo alla volontà popolare – che Berlusconi afferma sarebbe tradita se non si andasse dritti dritti al voto in caso di crisi del governo – riecheggiava ai tempi del nazismo e del fascismo, certo anche della Russia stalinista, per giustificare le scelte di censura con l’alibi falso della copertura popolare. Quanti tribunali del popolo e tribunali speciali sono stati invocati per perseguitare il dissenso politico in nome della ‘base’? Il popolo, che secondo questa concezione investe il rappresentante politico della legittimità a guidarlo, diventa uno strumento per giustificare ogni condotta del potere e per eludere le regole che vigono in un sistema democratico. La Costituzione e i diversi soggetti istituzionali, che pongono limiti alle possibili incontinenze dell’esecutivo, sono concepiti come ostacoli all’azione dell’uomo solo al comando. E quindi? Quindi vanno elusi, svuotandoli di senso. Come? Per esempio col ricorso al mito della volontà popolare, brandita in opposizione ad essi e alle loro funzioni. Con la precondizione che la volontà popolare viene, forzatamente e arbitrariamente, fatta coincidere con quella del sovrano. Ma la volontà popolare si riconosce nella Costituzione, nelle procedure e nelle regole democratiche, quindi non rispettare le seconde vuole dire non rispettare la prima. Ma per Berlusconi & company questa coerenza è superflua e lo stiamo vedendo in questi giorni, in cui l’Italia si fa sempre più simile alla Repubblica di Weimar, cioè a quel momento prima del buio integrale che inghiottì la Germania del secolo scorso. Ci sono ancora, nella democrazia italica bistrattata e offesa da oltre 15 anni, un sistema di norme che sono indicate nella Carta e che vanno rispettate nei passaggi politici più delicati. Lo sostiene anche chi, come me, crede che le elezioni sono la strada politicamente più opportuna. Soltanto un regime morente che si sta giocando il tutto per tutto, nella speranza di non tracollare ma anche di rilanciarsi, può sostenere il contrario. Per questo va contrastato, soprattutto da parte di quel popolo che per primo vuole espropriare e silenziare nel momento in cui lo invoca come materia passiva che legittima solo il sovrano, come alibi per la sua infrazione della Costituzione e della prassi democratica che ha un unico scopo: salvarsi. Uccidendo però un paese democratico.