No al petrolio e ai combustibili fossili, sì alle energie rinnovabili e pulite. E no alle trivellazioni in cerca di oro nero a largo della Groenlandia, che la compagnia energetica scozzese Cairn ha annunciato ufficialmente ieri mattina, e a proposito delle quali è entrata in rotta di collisione con Greenpeace. Su questa piattaforma programmatica si sono mossi i militanti ambientalisti che per diversi giorni hanno protestato a Edimburgo e preso di mira, nella giornata di lunedì, la sede della Royal Bank of Scotland (RBS), distruggendone le vetrine della sede centrale. Proprio la banca, una delle principali del Regno unito, finita sotto il controllo pubblico per l’84% dopo essere stata travolta dal vortice della crisi finanziaria. Secondo la denuncia degli attivisti, 12 dei quali sono da ieri in stato di arresto da parte della polizia, RBS è la principale responsabile del finanziamento dei progetti energetici basati sulla ricerca del petrolio e di altre fonti non rinnovabili, non da ultimo l’ambizioso piano di nuove trivellazioni da parte della Cairn Enenrgy.

Circa 500 ambientalisti erano nella capitale scozzese già da giovedì scorso, e si erano accampati a Gagarburn, giusto a ridosso della sede centrale di RBS. Durante il fine settimana, gli attivisti hanno inscenato una serie di azioni di protesta per le vie della città, la maggior parte delle quali totalmente pacifiche, per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi energetici. Concerti e coreografia in strada, picchetto simbolico all’entrata delle filiale RBS con tanto di “incollamento” alle porte, manifestazione contro il cambiamento climatico sul tetto di un edificio posto di fronte alla Cairn Energy. Fino agli scontri di lunedì, che hanno portato alla distruzione delle vetrine esterne nel quartier generale della banca. La polizia è riuscita ad impedire loro l’ingresso, ma non che imbrattassero la sede spargendo qualcosa di simile al petrolio. I dipendenti di RBS d’altronde erano stati avvertiti di restare a lavorare a casa, proprio come ai tempi del G20 di Londra, nell’aprile 2009, quando la banca era stata presa di mira dalle proteste no global.

Pesanti le accuse da parte del movimento: “RBS, dice l’attivista Shaun Caulfield, è uno dei maggiori criminali climatici del Regno Unito. Le persone provano rabbia per il fatto che il denaro pubblico finito usato per il salvataggio venga usato per l’incredibilmente distruttiva ricerca di combustibile fossile in giro per il mondo”. RBS, per bocca del suo portavoce contrattacca, affermando di essere uno dei soggetti più attivi nel finanziamento di programmi energetici ecologici, e aggiunge diplomaticamente: “Pur comprendendo la rabbia dei manifestanti, non possiamo approvare la scelta di considerarci il loro obiettivo”.

Se non fosse che proprio ieri è stato reso noto l’accordo con cui la Cairn Energy, compagnia indipendente di esplorazione ed estrazione petrolifera con sede a Edimburgo, finanziata proprio da RBS, ha ottenuto per prima il permesso di trivellare a largo delle coste groenlandesi. I mari dell’Artide vengono considerati una miniera solo parzialmente sfruttata di oro nero, e l’accordo fa felice tanto il governo della Groenlandia, territorio indipendente soggetto al controllo della Danimarca, che vive prevalentemente di pesca, turismo e aiuti da Copenhagen, quanto naturalmente della compagnia scozzese. Entrambi i soggetti prevedono di ottenere in futuro guadagni rilevanti dalla pur costosa operazione di ricerca nei mari ghiacciati.

Ma lo spettro del disastro ambientale provocato dalla fuoriuscita di petrolio a largo del golfo del Messico per colpa di BP, agita a comprensibilmente i sonni degli ambientalisti di tutto il mondo. Decisa e dura contro le nuove trivellazioni è partita protesta di Grenpeace, la cui nave Esperanza, è stata affiancata da una nave da guerra danese, con la diffida a tenersi lontana almeno 500 metri da due pozzi di trivellazione.

La guerra del petrolio, in Groenlandia, è appena iniziata.

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