Tra i tanti balzelli in questa Italia da basso impero c’è quello – minore ma non meno sgradevole – di dover prendere sul serio personaggi ridicoli. E magari sentirseli definire pure “statisti”. Nell’accantonamento definitivo dei processi di raffinazione che facevano da filtro alla scomposta ed incolta selvaggeria, tendente al truce anomico, degli “uomini nuovi”; nella rottura delle sentine che trattenevano il liquame sociale. Così ora tipetti/tipacci fuori posto si sono piazzati ai primi posti delle gerarchie pubbliche con soddisfatta petulanza; rivelando già dai gesti e dallo stile la propria clamorosa inadeguatezza.
Ovviamente balza subito agli occhi la figura del gran capo, il premier. Il Silvio Berlusconi che siamo costretti a sorbirci quotidianamente nel suo surplus di volgarità, quando all’estero è considerato da molti come una barzelletta pecoreccia.
Certo, l’omarino si porta dietro ben altre magagne, come ce ne possiamo rendere conto semplicemente scorrendo un numero a caso de Il Fatto Quotidiano.
Ma anche le forme dicono qualcosa; dalle modalità comunicative, che sotto la patina sottile del birignao (“mi cosenta”) rivelano d’acchito la protervia dell’inciviltà, al look terribile, tarato sul modello “cummenda brianzolo”: il doppio petto d’ordinanza (con fantozziani revers “sogno di ragioniere”) da alternare col casual “domenica a Portofino” (tutto in blu: polo e golfetto annodato) ed eventualmente con la tuta da calciatore come tenuta casereccia (con il sospetto di ciabatte che sostituiscano le patetiche sneakers a polacchina).
Perché il Berlusca, dall’alto dello scranno governativo e della montagna di miliardoni, fa da rompighiaccio all’avanzata del pessimo gusto. In primo luogo per la sua corte di ridicole mezze calzette con il dente avvelenato: dai riporti del Renato Schifani all’Antonio Capezzone con giacchina dell’Upim e parlata flautata, come la borghesia piccola piccola s’illude “faccia fine”: tutto un mondo di parvenu che siamo costretti a prendere per chic. Così dovremmo accreditare quale raffinato critico d’arte il piazzaiolo emerito Vittorio Sgarbi; il narcisista sempre in blazer color Prussia da bancario, sceso dalla paterna farmacia nei dintorni di Ferrara per darsi al dannunziano in sedicesimo.
Questa compagnia di giro involontariamente comica giunge – così – a Roma per fare finanza con ogni mezzo, atteggiandosi a classe dirigente.
Ma qui l’attende la nemesi: nella Capitale sono già in agguato frotte di damazze e spicciafaccende, pronte a scortare i figli della provincia profonda nella fruizione sfrenata delle locali dolcezze da lotofagi. Vere e proprie organizzazioni specializzate nella seduzione grassatoria, o peggio. Ne sanno qualcosa Gianfranco Fini e pure i rudi leghisti, il cui boss Umberto Bossi rischiò il “coccolone” per eccesso di delizie da talamo, con una statuaria cavallona d’origine padana che si spacciava per soubrette. Ora si è trasformato nella “bocca storta della Verità” (e non sembri eccessiva la battuta, visto che il Bossi comiziale in quel di Pontida si atteggiava a suprema espressione del “celodurismo”; per poi scoppiare proprio sul traguardo come un qualunque Dorando Petri del sesso).
Penosa compagnia di giro, che ha messo le mani sulla cloche dei nostri destini senza possedere la benché minima tecnologia di guida. Portandosi appreso le tare e le tabe delle proprie giovinezze dissipate e/o tirate a campare: dal ministro della Difesa Ignazio La Russa, che non riesce a celare i tic del paninaro sanbabilino, a quello degli Interni Roberto Maroni, le cui attitudini alla gestione di organizzazioni complesse si sono formate andando i promuovere i cosmetici della Avon (ditta specializzata nella vendita porta a porta).
Terribili ma anche risibili personaggi a macchietta, come terribile e risibile è pure la loro idea del femminile, di cui è massimo promoter il Gran Capo Berlusca; i cui gusti in materia di gentil sesso sono quelli di un americanismo alla Fininvest: ragazze pon pon dai caratteri sessuali secondari ipertrofici (leggi: culi e tette). E – ovviamente – una certa disponibilità da harem… I criteri in base ai quali si fa carriera a vari livelli.
Ecco la presunta classe dirigente da cui dipende il futuro del Paese. Della cui miserabilità l’estetica è spia impietosa. Purtroppo pandemica. Visto che questi anni di gozzoviglie, pagliacciate e irresponsabilità hanno prodotto un contagio che coinvolge una parte considerevole dell’opposizione; si è creato un mood, un abito mentale e relativi riflessi condizionati che unificano l’intera corporazione della politica, rendendola quasi indistinguibile al proprio interno in quanto a comportamenti e stili di vita.
Più che da ridere ci sarebbe da piangere.
James Madison, uno dei Padri Fondatori della repubblica degli Stati Uniti, diceva che il saggio reggimento si basa sulla selezione di aristocrazie democratiche. L’Italia berlusconizzata ha fatto esattamente l’opposto. E ora non se ne vede la via d’uscita.