La notizia sarà pubblicata sul numero dell'Espresso in edicola domani. Le dichiarazioni dell'ex killer di Brancaccio sono al vaglio della procura di Palermo. Il senatore non risulta indagato
Ci fu un tempo in cui il senatore Renato Schifani non si occupava di politica. Faceva l’avvocato, civilista, e in questo ruolo agganciò spregiudicate conoscenze con uomini vicini a Cosa nostra. Erano i tempi in cui esibiva con orgoglio l’ormai mitico riporto in testa. Anni Ottanta, inizi dei Novanta. Epoca in cui l’allora intraprendente legale, che da lì a poco sarà eletto nel collegio siciliano di Altofonte-Corleone, avrebbe ricoperto un ruolo di prestigio, mediando i rapporti tra i fratelli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano, e il duo Berlusconi-Dell’Utri. La notizia viene riportata sul numero dell’Espresso in edicola domani. A firmare l’articolo è Lirio Abbate, ex cronista dell’Ansa che l’11 aprile 2006 fu il primo a dare la notizia dell’arresto di Bernardo Provenzano. Si parla di “ombre inquietanti” che emergono dal passato. Di “spettri” ripescati dentro a trent’anni di storia di un uomo che ha girato i tribunali di mezza Italia difendendo i patrimoni dei boss mafiosi.
Ombre e sospetti riportati a galla dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. L’ex killer di Brancaccio, scrive l’Espresso, l’ottobre scorso davanti ai giudici di Firenze avrebbe parlato proprio di questo. Frasi messe subito a verbale e girate, per competenza, alla procura di Palermo. Documento top secret. Ma solo a metà. Una parte di queste pagine (le meno compromettenti) sono state messe agli atti del processo al senatore Marcello Dell’Utri (condannato a sette anni per concorso esterno).
Lo spunto, dunque, esiste. Saranno i magistrati a sviscerare il tema. Il procuratore Francesco Messineo ha già dato l’incarico agli aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci e ai sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido. Secondo quanto riporta l’Espresso, i magistrati hanno già messo a punto una strategia segnandosi le persone da sentire. Non c’è solo Spatuzza. Ma anche Francesco Campanella, ex segretario dei giovani dell’Udeur, già delfino di Mastella, ma soprattutto colletto bianco in nome e per conto della famiglia Mandalà. Quello stesso Campanella che grazie ai suoi appoggi nel comune di Villabate ha falsificato la carta d’identità con cui Provenzano è andato a Marsiglia per sottoporsi a esami clinici. L’elenco, però, prosegue e spunta il nome, al momento top secret, di un imprenditore condannato per riciclaggio che nominò lo stesso presidente del Senato socio in una sua impresa.
Insomma, l’ennesima gatta da pelare per Berlusconi e il suo stato maggiore. Nulla, ovviamente, è ancora stato scritto. Tantomeno Schifani risulta indagato. Ma su di lui pesa un’inchiesta (poi archiviata nel 2002) per associazione mafiosa. Indagato per tre volte, e per tre volte archiviato. Eppure le carte restano e come ha rivelato il Fatto, incastrano Schifani quantomeno a precise responsabilità politiche. A tirarlo in ballo è infatti il pentito Salvatore Lanzalaco per un appalto pilotato dalla mafia. Il sistema, come spiega Abbate, era semplice: “Lo studio di progettazione di Lanzalaco preparava gli elaborati per le gare, i politici mettevano a disposizione i finanziamenti, le imprese si accordavano, la mafia eseguiva i subappalti”.
Per Schifani, quindi, la situazione non è delle migliori. Con nuovi elementi d’accusa l’inchiesta potrebbe essere riaperta. E in questo caso gli elementi d’accusa pesano e non poco. Visto che Giuseppe Graviano è lo stesso che nel 1993 orgnizzò le stragi di Romna, Firenze e Milano e che subito dopo confidò a Spatuzza di essersi “messo il paese nelle mani” grazie alla colaborazione di Berlusconi e Dell’Utri.
La trinagolazione Graviano-Schifani- Berlusconi, a quanto scrive l’Espresso, parte, poi, da molto lontanto. Dagli anni Ottanta. Periodo in cui il presidente del Senato tra i suoi assistiti aveva Giovanni Bontate, fratello di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia ucciso a Palermo nel 1981 e che poco prima di morire era salito a Milano per investire 20 miliardi di lire. Denaro dei clan, di cui però si sono perse le tracce. E sotto la Madonnina, stando alla fonte anonima citata dal settimanale, Schifani ci veniva già a metà degli anni Ottanta per fare visita a Dell’Utri e al premier. Incontri cordiali in cui Berlusconi aveva il vezzo di chiamarlo “contabile”. Chissà perché?