Da qualche anno il termine comunista ha assunto, nel linguaggio comune, una connotazione dispregiativa. Dichiararsi comunista, in alcuni ambienti, è un buon viatico per essere osservati, soppesati, assimilati ad un portatore di gravi patologie e, infine, messi in un angolino a riflettere su questa grave colpa. Un’altra parola che sta assumendo una connotazione paraoffensiva è “ moralista”: lo ha ben chiarito Giorgio Vittadini, leader di Comunione e Liberazione, definendo, con questo termine, la critica che il settimanale Famiglia Cristiana ha osato rivolgere a Berlusconi, reo di essere un portatore malsano di democrazia.
Vittadini ha liquidato il settimanale e, di conseguenza, le diverse centinaia di migliaia di lettori abituali attribuendo loro una visione moralista e vecchia della vita e della politica. Giusto per non lasciare dubbi ha anche aggiunto che una visione moderna, al contrario, parte dai desideri dell’uomo e si deve coniugare e, politicamente, appoggiare ad una politica che di questi desideri si faccia espressione.
Non specifica, Vittadini, quali siano i desideri, origine del cambiamento, che la politica dovrebbe invogliare ma, spiega, di sicuro rinchiudere i desideri entro uno schema moralistico (come pare faccia Famiglia Cristiana ) significa negare il cambiamento stesso.
E se anche la richiesta di moralità, negli affari, nella politica, nella vita quotidiana rappresentasse un desiderio? Questo aspetto, Vittadini, lo trascura anche se non può negare che svariati milioni di cittadini desiderino questo. Ma, indirettamente, ci dice che chi ha questo tipo di desiderio è un moralista e rappresenta il “ vecchio”.
Visione moderna e visione conservatrice, peggio ancora “ vecchia”, si fronteggiano: la prima è chiaramente positiva mentre la seconda sa di muffa, quasi di rancido.
Bisognerebbe capire che quoziente di modernità la visione di Comunione e Liberazione reca con sé: la cosa non è semplice. A giudicare dalla occupazione di posti e ruoli pubblici che nella regione di Vittadini sono preda della organizzazione che lui dirige, tutta questa modernità non si nota. Più che moderno sapora di modernariato.
Se poi prendiamo i temi etici e i diritti civili i seguaci di Don Giussani sono saldamente ancorati su un fondamentalismo arcaico che fanno dell’Italia uno dei paesi più arretrati: antiquari dell’etica e del riconoscimento di altrui libertà, incapaci solo di farfugliare la parola cambiamento.
In buona sostanza pare che il cambiamento, nella migliore tradizione italiana, che interessa sia quello che possa dare ancora più potere a Comunione e Liberazione. Il cosidetto cambiamento della istruzione nella misura n cui regala soldi alle scuole cattoliche o il cambiamento della sussidiarietà, che camuffa il concetto di clientele. Clientele nel welfare, clientele nella progettazione sociale, clientele nell’assistenza.
Ergo chi denuncia questa situazione, rebus sic stantibus, diventa un vecchio moralista: e va denigrato.