Ieri sera le pale degli elicotteri turbinavano nel cielo di Roma nord. Da due giorni, come si sa, la residenza dell’ambasciatore libico sulla Cassia ospita la famosa tenda beduina di Gheddafi in visita in Italia. Dalle finestre degli appartamenti dirimpetto al mio sentivo risuonare le televisioni che rimandavano i resoconti dell’orazione del colonnello. I passaggi più importanti del suo discorso all’Accademia libica stamattina sono sulla bocca di tutti: L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta Europa, Maometto è l’ultimo profeta, mentre Gesù sarebbe il penultimo, eccetera eccetera. «A’ papà, è vero che ciavemo più cannoni dell’americani?». «Certo, loro so’ bravi a fà er cinematografo, ma in fatto d’armi c’hanno ancora i pellirossa co’ le frecce», dicevano padre e figlio in una sequenza di Una giornata particolare di Ettore Scola. Il padre – il marito fascista di Antonietta (Sophia Loren) – e il figlio si apprestavano a partecipare alla grande manifestazione del 3 maggio 1938 organizzata dal regime per onorare Hitler in visita a Roma. Gli inviati dei tiggì nazionali di oggi, però, non hanno la voce altisonante degli speaker dell’EIAR, e i romani non sono più quelli di una volta. Così sono rimasto con i gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone ad ascoltare gli elicotteri che rombavano nel cielo e a domandarmi se il tempo si fosse fermato o se piuttosto avesse innescato la marcia indietro della Storia.
Era il 15 aprile del 1986 quando due scud libici furono lanciati contro un’installazione militare LORAN statunitense sull’isola di Lampedusa, in ritorsione per il bombardamento della Libia da parte degli Stati Uniti. Allora, bontà mia, avevo tredici anni, e a scuola parlammo tutto il giorno di quel fatto straordinario. Non era cosa di tutti i giorni, del resto, che il territorio italiano si ritrovasse sotto l’attacco militare diretto di una forza straniera. A quel tempo Gheddafi era considerato il nemico numero uno dell’Occidente, la sua indole anti-israeliana e anti-americana lo portava a sostenere gruppi terroristi in varie parti del mondo. Quelli della mia generazione sono stati allevati a riconoscere per nemico un tale che oggi viene accolto – per dirla col Berlusconi di qualche anno fa – “come un grande amico dell’Italia e come un leader della libertà”. Un po’ come se le ragazzine di oggi si ritrovassero fra vent’anni a presenziare in minigonna ai discorsi italiani dell’amico Ahmadinejad.
Mi domando cosa penserebbe di tutto questo Oriana Fallaci, la maitre à penser per eccellenza della nuova destra italiana. La destra che fa a meno degli intellettuali, oggi, si trova davanti al difficile compito di far conciliare le sparate xenofobe anti-kebab in salsa leghista con le prediche fondamentaliste del colonnello e con la realpolitik. Il sottosegretario Carlo Giovanardi ha pensato bene di indorare la pillola: “Ha atteggiamenti stravaganti” – ha dichiarato in riferimento a Gheddafi. – “Ma anche il nostro benamato presidente Cossiga diceva ogni tanto cose che scandalizzavano”. Ma gli enormi interessi economici in ballo, si sa, sono comuni (e anche il gusto per gli spettacoli di ballerine e per il circo equestre). Ecco allora il diktat del capo: “È solo folklore”. Andate a spiegare che tutto questo è folklore agli innumerevoli esseri umani deportati nei campi di concentramento libici dopo l’approvazione in parlamento del cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Se andrà bene si faranno una risata, magari con quel po’ di denti che restano attaccati alle gengive dopo anni di denutrizione, magari grattandosi le gambe ridotte a due stecchi di legno storto, ma per il resto in tutto e per tutto come le hostess reclutate nelle agenzie per gli ossequi ai tiranni.
A tutte le latitudini, come diceva Melville, “un sorriso è il mezzo scelto per ogni ambiguità”.