Se i nonni del Cobra decidessero di presentarmi il conto, dopo aver letto che il lavoro di “assistenza familiare” che i nonni offrono ai figli per la custodia dei nipotini arriva a sfiorare l’1,2% del Pil, mi toccherebbe accendere un altro mutuo. Potrebbero in effetti argomentare il proprio peso contrattuale anche con gli ultimi dati di una ricerca Ires Cgil sul contributo che 7 milioni di nonni ogni anno danno all’economia nazionale, permettendo con il loro aiuto che le donne, figlie e nuore, continuino a lavorare dopo la maternità.

“Evviva i nonni!”, sintetizzerebbe qualche sceneggiatore di allegri tv-movie a lieto fine. La triste realtà, invece, è un’altra: senza i nonni, è davvero durissima. Finito il congedo di maternità il bilancio familiare subisce un tracollo tra rette di asili nidi (spesso privati, visti i pochi posti comunali disponibili: 600-800 euro al mese) e baby sitter. Senza contare il pediatra a pagamento che è l’unico a venire a domicilio quando il nanerottolo ha 40 di febbre perché, con migliaia di pazienti a testa, quelli di base sono sepolti nei propri studi, assediati dai piccoli malati.

Mentre la regione Lombardia trova senza sforzo 234mila euro l’anno, come scrive Ferruccio Sansa su Il Fatto, per sponsorizzare il meeting di CL a Rimini dove, guarda un po’, i temi che si toccano con più enfasi oratoria sono proprio quelli relativi alla “famiglia”, il nostro Paese è in coda ai colleghi europei nella spesa reale a sostegno di famiglia e maternità. Il Ministero dell’Economia dice 1,2,% del Pil, il Ministero del Tesoro si affretta a correggere: è l’1,4%. Ma la sostanza non cambia.

La Danimarca è al 3,7%, la Svezia al 3%. Sono scandinavi, direte voi, si sa: hanno una fissa per la prole numerosa, le corse in bicicletta agghindati di carretti straripanti di cuccioli di varie età, donne manager con pupo attaccato alla tetta. Noi siamo quelli delle famiglie latine autarchiche che fanno quadrato intorno ai nuovi nati, che si danno aiuto reciproco e che riescono sempre a cavarsela tra un nonno, una zia e una cugina che si accolla i pargoli il sabato sera in cambio di una paghetta settimanale per fare shopping da H&M. In realtà è l’inverso: se gli scandinavi sono così autonomi è perché lo Stato gli rende fattibile conciliare una famiglia numerosa con la crescita professionale di entrambe i genitori: assistenti materno infantili a domicilio dopo il parto, nidi e micronidi a distanza minima da casa e garantiti, baby-sitter pagate dallo stato (lo ammetto, sto citando un capitolo del libro Voglia di cambiare, di Salvatore Giannella –uno dei nonni in questione che potrebbe chiedermi dei soldi in cambio di pomeriggi passati a subire le angherie del Cobra, magari si accontenta di questa piccola pubblicità occulta- edito da Chiarelettere).

E comunque non sono solo i prolifici scandinavi a investire il doppio di noi: la Germania segna il 2,8% (nonostante la crisi economica che toglie il sonno alla Merkel) e la Francia il 2,5%. Due paesi che hanno governi di centrodestra e che di famiglia non si riempiono solo la bocca. Fa sorridere ricordare gli slogan delle recenti campagne elettorali, conditi da quadretti pubblicitari più stucchevoli di uno spot delle merendine: mamme e papà sorridenti con almeno un paio di eredi felici. Hanno tenuto fuori i nonni e le tate extracomunitarie perché non ci stavano nell’inquadratura? Perché i nonni sono meno fotogenici dei genitori e le tate extracomunitarie potrebbero causare confusione con i messaggi di altre fazioni?

Sarebbe bello che chi ci governa, o chi ci governerà, mettesse tutti i giovani genitori nelle condizioni di poter accogliere i nuovi nati come una gioia privata e un capitale sociale prezioso. Non come un inaspettato corso a domicilio di finanza creativa per far quadrare il bilancio familiare.

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