Dallo sdoganamento del 1993 alla rottura ormai pressoché insanabile. Il rapporto tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, antico di 17 anni, ha conosciuto alti e bassi: dall’intesa dei primi tempi, all’insofferenza e all’ostilità di questi ultimi mesi. Una tormentata relazione tra i due leader, fino alle stoccate dal palco di Mirabello.  Le tappe fondamentali cominciano nel 1993, alle elezioni comunali di Roma. Fini, ancora segretario del Msi, si candida contro Rutelli e ottiene l’appoggio del Cavaliere. Fini perde, ma incassa lo ”sdoganamento”. La destra esce dal ghetto.

L’anno successivo il centrodestra vince le elezioni. Ma alla vigilia di Natale la Lega manda tutto all’aria con il famigerato ”ribaltone” che porta a Palazzo Chigi Lamberto Dini. Fini resta fedele a Berlusconi : “Non prenderò mai più un caffè con Bossi”, disse. Nel 1999 Fini stringe un patto con Mario Segni, in nome del referendum anti-proporzionale. Alle europee il simbolo dell’elefantino si ferma però al 10,3% per cento. E’ un flop. Berlusconi non gradisce: è il primo sgarbo di Fini all’alleato di ferro. Al governo dal 2001 al 2006 Fini comincia a manifestare una certa insofferenza verso Berlusconi. Reclama una “cabina di regia” che lo coinvolga nelle decisioni. Fa fronte con il leader dell’Udc Marco Follini e ottiene la testa di Giulio Tremonti, le sue dimissioni dal dicastero dell’economia.

Il rapporto comincia a incrinarsi. Anche perché la Lega di Bossi stringe un patto di alleanza e fedeltà con Berlusconi. E lo sgarbo di Fini a Tremonti rimarrà nella memoria del Carroccio come qualcosa di cui non dimenticarsi. Il discorso del predellino (novembre 2007) con cui Berlusconi annuncia che è ora di dar vita a un partito unico, manda Fini su tutte le furie. “Siamo alle comiche finali”, commenta il leader di An.

A settembre 2008 Fini lancia la proposta del voto agli immigrati. Berlusconi si confida con i suoi chiedendosi se Fini stia lavorando per ritagliarsi un proprio spazio. “Pensa di candidarsi alla mia successione? Allora non ha capito niente. Senza di me starebbero ancora dove stavano fino al 1994”.

Nel dicembre del 2008, il governo mette la fiducia sulla finanziaria, e Fini, presidente della Camera, boccia la procedura adottata defindendola “anomala”. Ancora scintille poco prima della nascita del Pdl, a marzo 2009. Fini dice che “c’è un rischio di cesarismo” che va scongiurato garantendo la democrazia interna. Un fuorionda di Fini a un convegno sulla mafia,il primo dicembre 2009, fa salire nuovamente la tensione con Berlusconi. Il presidente della Camera parla a microfoni spenti con il suo vicino, il magistrato Nicola Trifuoggi. Berlusconi, dice, ”confonde la leadership con la monarchia assoluta”.

Il 2 marzo 2010 Fini torna a esprimere la sua insoddisfazione per come vanno le cose nel Pdl. “Ho contribuito a fondare il Pdl, ma cosi’ come e’ il Pdl non mi piace”. Il duello tra Fini e Berlusconi si concentra sul tema delle riforme. Il presidente della Camera si schiera contro il presidenzialismo senza doppio turno, proposto invece dal premier. La riforma delle istituzioni, dice il 22 marzo 2010, “non si può fare a colpi di slogan e battute da comizio”.

Nello psicodramma di via della Conciliazione, al Consiglio Nazionale del Pdl, Fini rivendica il diritto di dire le cose che pensa senza sentirsi dare del “traditore”. Berlusconi risponde a muso duro: “Se vuoi fare politica la fai da uomo politico e non da presidente della Camera”. La controreplica di Gianfranco Fini è immediata: si alza dalla sedia in platea e si avvicina al presidente del Consiglio, che parla dal palco, urlandogli “che fai mi cacci?”.

Di fronte all’imminenza della rottura, Fini propone un armistizio: “Resettiamo tutto”, dice al foglio di Giuliano Ferrara. Ma per Berlusconi l’offerta di Fini è “tardiva”. Ma poi è il premier, ai primi di settembre, a tornare sui propri passi, a modulare una proposta su “cinque punti” in cui, promette, non inserirà il processo breve. Lascia anche ventilare l’ipotesi di poter nominare al posto di Claudio Scajola alla guida del ministero dello sviluppo economico un finiano doc, come Baldassarre o Urso. Ma questa volta è Fini che lascia cadere nel nulla la proposta.

Dal palco di Mirabello, Fini dice di essere stato “messo alla porta” da Berlusconi come “nel peggiore stalinismo” e invita Berlusconi a “non confondere la leadership con la proprietà; perché gratitudine non può significare l’impossibilità di fare critiche a cui si risponde con gesti di stizza e fastidio”.

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