Il documentario "Occupiamo l'Emilia" raccconta il rafforzamento del partito di Bossi in una regione che fino a pochi anni fa era considerata inespugnabile. Bonaccini: "Ma bisogna sfatare il mito del radicamento leghista"
La regione della Bologna dotta, grassa, turrita e, soprattutto, rossa, trema. “Una volta il Pci prendeva i voti al nord e al sud vinceva sempre la Dc. Anche allora dicevamo: bisognerebbe costruire un muro da Firenze in giù”, racconta al bar una militante della Lega davanti alle telecamere di Stefano Aurighi, Davide Lombardi e Paolo Tomassone, i tre giornalisti autori di “Occupiamo l’Emilia”, il film low budget che percorre l’asse regionale da Rimini a Piacenza per mostrare alla sinistra cosa sia diventata la sua storica roccaforte. Quella, per intenderci, che in piazza a Cavriago (Reggio Emilia) esibisce il busto di Lenin, che a Costaferrata ha visto la nascita della Brigate Rosse e ha dato i natali, solo per citare gli ultimi virgulti sull’asse storico, a Romano Prodi, Pierluigi Bersani e Dario Franceschini.
Ottanta minuti di inchiesta in cui i tre autori incontrano operai in uscita dalla Maserati che ormai “in fabbrica si rivolgono alla Fiom, ma fuori votano Lega”. E ancora, militanti che da Mirandola e dalla Romagna festeggiano a Pontida, specificando con orgoglio che “tutti abbiamo parenti di sinistra e veniamo da un mondo di sinistra”. Oppure giovani leghiste di Faenza che, avvolte nell’impermeabile verde, spiegano: “Mio babbo mi ha dato la vita, Bossi le ha dato un senso”. Sarà la semplicità di linguaggio di Angelo Alessandri, segretario nazionale della Lega e del consigliere Mauro Manfredini, o forse la permeabilità della classe dirigente rispetto al Pd, ma la conquista di oltre il 10% dei voti in 308 dei 348 comuni dell’Emilia Romagna ha confermato la breccia aperta dal Carroccio nella terra rossa. Un’inchiesta che evidenzia un evidente potere in ascesa e in cui gli elettori, prima di centrosinistra o del Pci poi passati alla Lega, accusano lo schieramento rosso di avere trascurato sicurezza, lavoro e immigrati.
Ecco il trailer di “Occupiamo l’Emilia” (clicca qui per leggere il blog del film)
“Siamo partiti senza pregiudizi, i numeri parlavano chiaro”, attacca Stefano Aurighi, poco prima di un’intervista alla radio australiana Sbs, che descrive il carattere della base verde in salsa emiliano-romagnola. “Tanti militanti manifestano un’adesione di pancia, per cui basta la buca per strada per farti arrabbiare e convincerti a cambiar parito. Poi ce ne sono altri, seppur pochissimi, consapevoli e istruiti, convinti che l’Emilia Romagna non sia altro che il tassello mancante per la conquista del nord”. Stefano racconta anche le prime reazioni a seguito di quanto innescato dai giornali locali: “Finora dal Pd abbiamo ricevuto reazioni ambivalenti. Alcuni amministratori, come i circoli, ci hanno chiesto di vedere il film, per altri abbiamo toccato nervi scoperti. Ma non puoi arrabbiarti con il medico perché ti ha detto che qualcosa non funziona”. A Davide Lombardi, trasferito in Emilia da soli due anni, “colpisce la scarsa consapevolezza del fenomeno, anche da parte degli stessi leghisti”. Secondo Paolo Tomassone, però, il film dovrebbe fare riflettere anche altri poteri forti: “E’ giusto che il Pd sia il più preoccupato, ma anche la Chiesa, dovrebbe essere pronta ad accusare il colpo”. In che senso? “E’ ora che esca dal silenzio dietro cui si è trincerata a fronte delle imbarazzanti dichiarazioni della Lega su sicurezza e immigrazione, lontane anni luce dal solidarismo cattolico. Purtroppo nel film non ne abbiamo parlato, ma sarebbe un’ottima provocazione per una prossima inchiesta. Nei comuni emiliani, in campagna elettorale, non era infrequente durante le omelie che il parroco desse qualche indicazione di voto. E non passavano inosservati gli annunci a fine messa per ringraziare il politico leghista che aveva ristrutturato l’oratorio, ad esempio”.
Nell’establishment emiliano romagnolo, Matteo Richetti, presidente dell’Assemblea legislativa regionale ed ex esponente della Margherita, minimizza la portata di “Occupiamo l’Emilia”: “Non ho capito quale sia l’obiettivo dei giornali che lo hanno ripreso. Non l’ho visto e il dibattito non mi appassiona”. Sarà mica il risentimento da nervo scoperto? “Non c’è dubbio che la Lega stia riempendo un vuoto, che non va però letto nei termini di destra o sinistra. A meno che non si voglia continuare a perdere”. E su questo il Pd, anche alle ultime regionali, non ha calato le carte migliori. “Il Carroccio – continua Richetti – paga meno lo scotto di altri grandi partiti che non riescono ad aggiornare la loro proposta politica. E la Lega era radicata anche quando era al 4% sul territorio”. Ma l’indice di gradimento è più che raddoppiato. Un motivo ci sarà. “Il Pd si è impigrito. Ci lamentiamo della legge porcellum ma le liste per le primarie sono bloccate e la classe dirigente non si rinnova”. Ha ragione Matteo Renzi? “Non dico tutti a casa. Ma, come ci chiedono alle feste del Pd, è ora che i quarantenni vadano avanti”.
Se su Bologna incombe l’ombra verde, a razionalizzare è il segretario regionale Stefano Bonaccini, che risponde mentre salta tra riunioni e feste democratiche:“ Occupiamo l’Emilia ci mostra quello che già conosciamo, ma bisogna sfatare il mito del radicamento della Lega”. Prego? “Ci sono comuni in cui ha preso molti voti senza fare volantinaggio e senza sede di partito. La verità è che in Europa sta crescendo una destra regressiva e populista, a tratti xenofoba, per difendersi dalla globalizzazione. Dobbiamo affrontarla a testa alta e sfidarla con un linguaggio semplice”. E se Bossi vince Bologna? “Bologna è già stata persa nel ’99”. Di nuovo pronti alla sconfitta? “Sono fiducioso, lì vinceremo. Ma senza puzza sotto il naso”. Il linguaggio chiaro, cristallino è quello che manca al Pd e ciò che desiderano i protagonisti di Occupiamo l’Emilia, dal piccolo imprenditore ignorato dal Pd fino alla tabaccaia in guardia appena “un marocchino” varca la soglia del negozio. Se l’azione sul territorio è la punta di diamante del partito di Bossi, dall’osservatorio del Comune di Modena, dove è consigliere del Pd, Stefano Rimini parla più chiaro di tutti: “Basta il trailer per capire cosa sta succedendo in Emilia. Il partito non ha una identità chiara, è tormentato dalla mediazione delle correnti e delle diverse anime, sia a livello locale che nazionale. Anziché parlare di nuovo Ulivo o sistema alla tedesca, i dirigenti dovrebbero guardare da vicino gli elettori.” Per fare cosa? “Per smettere di inseguire la Lega e, peraltro, di arrivare pure in ritardo. Se propongono le stesse ricette e si limitano a imitarla con gli slogan ‘più agenti, più telecamere’, la gente alla copia preferisce l’originale”.