L’articolo precedente ha scatenato un acceso dibattito e ne sono soddisfatto.
Dopo aver spiegato che gli Ogm non sono sterili, volevo raccontare la probabile origine di questa leggenda. Prima però chiarisco la mia posizione.
Alcuni anni fa, prima di iniziare ad interessarmi alle biotecnologie per la rivista «Le Scienze» con cui collaboro, ero moderatamente sospettoso e scettico nei confronti degli Ogm. Ne avevo una conoscenza distratta, non approfondita, basata sull’informazione fornita dai giornali e dalla televisione. Avevo sentito da Greenpeace che il Golden Rice era una truffa, che avevano creato una fragola incrociata con un pesce, che gli OGM erano sterili, che l’utilizzo di pesticidi era aumentato a causa degli Ogm e che un agricoltore canadese aveva avuto il campo contaminato da polline transgenico ed era stato denunciato. Quando poi ho cominciato a documentarmi seriamente sull’argomento, leggendo direttamente le fonti e i documenti originali per scrivere un articolo per la rivista, ho cominciato a mettere in dubbio molti dei fatti che avevo sentito e che avevo supinamente ritenuto veri senza effettuare verifiche.
La costruzione di una posizione, a favore o contro, passa anche attraverso un’assunzione di fiducia verso i media che utilizziamo per informarci. Più acquisiamo fiducia verso il nostro «fornitore di informazioni» più ne accettiamo acriticamente le notizie e le opinioni. È per questo che per me è stato un colpo inaspettato quando ho scoperto che i miei «fornitori di informazioni» fino ad allora mi avevano mentito. Altre volte invece mi avevano presentato la faccenda omettendo alcuni fatti cruciali, in modo da «orientare» la mia posizione come volevano loro. Da allora leggo direttamente gli articoli scientifici originali e i rapporti delle istituzioni internazionali.
Grazie a questi, e ai fatti lì esposti, mi sono convinto che questa tecnologia possa dare molti benefici, superiori agli eventuali rischi. E alcuni benefici già si sono visti. Essere sostenitore della tecnologia certo non significa accettare ogni singolo prodotto. Sono infatti convinto che in questo campo un approccio “caso per caso” sia l’unico possibile e le opposizioni ideologiche alla tecnologia in sé siano prive di senso, oltre che scientificamente ingiustificate.
Quando Peter Gomez mi ha chiesto di aprire un blog qui ho accettato, pensando che fosse il luogo ideale per raccontare un po’ di quei fatti e di quelle notizie che i media italiani e le varie organizzazioni di pressione sistematicamente ignorano o mistificano, e che invece è necessario divulgare, per fare chiarezza e permettere una discussione non ideologica ma pragmatica su questo tema.
Nessuna tecnologia può essere utilizzata efficacemente se non viene socialmente accettata. Questi articoli, oltre ai due libri che ho scritto (“Pane e Bugie” per Chiarelettere e “Ogm tra leggende e realtà” per Zanichelli) mi piacerebbe che contribuissero un poco a far avanzare il dibattito in Italia su questi temi. Dibattito che è cristallizzato in posizioni ideologiche e fatica a progredire perché, in questo campo, i fatti sono scomparsi a favore delle opinioni.
Pregherei solo i commentatori di seguire due semplici regole
L’origine del brevetto Terminator
Il 7 giugno 1995 la divisione per le ricerche in agricoltura dell’USDA, il ministero dell’agricoltura americano, insieme alla Delta and Pine Land Company, una azienda specializzata nella produzione di semi di cotone, hanno fatto richiesta di concessione di un brevetto intitolato “Controllo dell’espressione di geni in vegetali”. Il brevetto è stato concesso il 3 marzo 1998 (numero 5723765). Il metodo, chiamato Technology Protection System (TPS) prevedeva l’uso di tre geni inseriti in una pianta e un meccanismo di funzionamento piuttosto complesso per prevenire che i semi prodotti dalla nuova pianta fossero fertili. Gli agricoltori che acquistano semi geneticamente modificati devono normalmente firmare un contratto che li impegna a non salvare una parte dei semi da piantare l’anno successivo ma a riacquistarli ogni anno. Una tecnologia di questo genere permetterebbe alle aziende che sviluppano OGM di impedire agli agricoltori di «barare». Una specie di «protezione contro la copia» insomma, come quelle che siamo ormai abituati a trovare nell’industria del software.
Ci si potrebbe chiedere come mai una istituzione di ricerca pubblica potesse essere interessata ad una tecnologia di questo genere. L’USDA ha infatti dichiarato che non avrebbe usato questo tipo di protezione nei semi sviluppati dai propri laboratori. L’USDA però sostenne che lo sviluppo di questa tecnologia avrebbe potuto servire per incentivare gli investimenti delle aziende private produttrici di semi in colture minori e in quelle in cui sono largamente utilizzati semi non ibridi. Nel corso dei decenni le industrie sementiere hanno investito molto nello sviluppo di semi ibridi, specialmente per il mais. I semi ibridi devono essere ricomperati ogni anno perché le generazioni successive perdono progressivamente le caratteristiche originali. Potremmo dire che sono «automaticamente» protetti dalla copia. All’agricoltore non conviene salvare i semi e riseminarli perché avrebbe un raccolto di qualità inferiore.
L’introduzione degli ibridi in agricoltura risale alla prima metà del secolo scorso e ha permesso alle aziende sementiere di poter ammortizzare i costi di ricerca e sviluppo in più anni. Molte varietà commerciali di grandi colture, come il frumento, la soia o il cotone non sono ibridi e sono invece a impollinazione aperta (“open pollinated”). Questo significa che l’agricoltore può decidere di salvare una parte dei semi di un raccolto e utilizzarli l’anno successivo, essendo sicuro che le piante che germineranno avranno le stesse caratteristiche dei progenitori. Anche per le varietà Open Pollinated comunque gli agricoltori spesso preferiscono, per tutta una serie di validi motivi, riacquistare ogni anno i semi dalle aziende sementiere. Queste ultime cercano di migliorare le varietà esistenti anche per convincere gli agricoltori a comperare i nuovi semi, con proprietà si spera superiori a quelli vecchi. Nel passato tuttavia gli investimenti in ricerca sono stati diretti principalmente verso gli ibridi. L’USDA pensava che gli investimenti privati nello sviluppo di queste colture avrebbero potuto essere incentivati da una forma di protezione genetica.
In più, nel brevetto, sono indicati degli esempi di utilizzo sicuramente non controversi. Ad esempio la produzione di angurie senza semi (quelle sul mercato hanno il genoma modificato in altra maniera e dal punto di vista legale non sono Ogm, anche se il genoma è stato ovviamente modificato).
L’interesse di Delta and Pine appariva invece ovvio sviluppando semi di cotone, ibridi e non.
Poco dopo l’approvazione del brevetto l’organizzazione RAFI (Rural Advancement Foundation International, ora ETC group), ha «lanciato l’allarme» tra gli oppositori degli Ogm coniando il termine «gene terminator» mediaticamente molto efficace e richiamante il famoso film di fantascienza.
RAFI sosteneva che quel brevetto avrebbe danneggiato i coltivatori dei paesi poveri che decidono di salvare i semi ogni anno, impedendogli di continuare una pratica tradizionale non potendo permettersi di acquistare semi nuovi ogni anno.
D’altra parte i sostenitori del brevetto facevano notare che nessuno, tanto meno gli agricoltori dei paesi poveri, è obbligato a seminare Ogm e che coloro che li acquistano firmano un contratto in cui già sottoscrivono di non salvare i semi. Prima dell’introduzione della soia GM circa il 30% dei coltivatori statunitensi salvava i propri semi da un anno all’altro. Ora questa percentuale si è drasticamente ridotta visto che più del 90% della soia USA è geneticamente modificata e quindi i suoi semi vanno riacquistati ogni anno segno che gli agricoltori possono cambiare abitudini consolidate se pensano che possa essere conveniente.
A rendere ancora più bollente la polemica ecco che entra in scena Monsanto, il “Grande Satana degli Ogm” nell’immaginario collettivo di molti oppositori. Monsanto, che non aveva avuto nulla a che fare sino ad allora con quella tecnologia di protezione genetica, dichiara di voler acquistare Delta and Pine Land Company, probabilmente anche con l’intenzione di sfruttare il brevetto del gene terminator, come ormai tutti lo chiamavano (anche se in realtà i geni erano almeno tre e la tecnologia era solamente ipotetica, non essendo mai stata testata su un prodotto commerciale). La polemica montò rapidamente sino ad arrivare alle Nazioni Unite che chiesero una moratoria sull’uso di questa tecnologia. Monsanto per smorzare le polemiche dichiarò pubblicamente che non l’avrebbe utilizzata. In ogni caso il suo tentativo di acquisire Delta and Pine incontrò dei problemi e nel 2000 rinunciò formalmente all’acquisizione. Nessun Ogm in commercio ha mai utilizzato questa tecnologia, la tecnologia terminator non è mai stata inserita in nessun Ogm commerciale e nessuno degli Ogm utilizzati oggi è sterile, come abbiamo visto, nonostante molte persone credano il contrario, forse a causa della confusione causata dai media sulla faccenda.
Sulla stampa dell’epoca sono apparsi articoli che suggerivano l’ipotesi che il «gene terminator» avrebbe potuto «sfuggire», propagandosi rendendo via via sterili tutte le colture. Questo scenario apocalittico non ha alcun senso dal punto di vista biologico: se una pianta è sterile non può ovviamente propagare i suoi geni.
Monsanto riuscì solo nel 2006 ad acquisire Delta and Pine raggiungendo così una posizione chiave nel campo dei semi di cotone, Ogm e convenzionali.
A seguito delle polemiche le aziende biotech hanno cambiato strategia e hanno iniziato a sviluppare una tecnologia chiamata T-GURT (Trait Genetic Use Restriction Technology). Con questa tecnologia la pianta è assolutamente normale e fertile, e i geni inseriti sono disattivati. Gli agricoltori possono, se lo desiderano, salvare i semi. Tuttavia solamente esponendo i semi ad una sostanza chimica particolare, prodotta dall’azienda che produce i semi GM, l’espressione di quei geni viene attivata e possono manifestarsi i tratti inseriti. Anche questa tecnologia è sperimentale e non è mai stata utilizzata. Non è ancora chiaro però, visti i costi aggiuntivi per introdurre questa «protezione genetica», se l’odierna «protezione legale» sarà mai rimpiazzata da quella tecnologica.
Vale la pena anche di far notare un aspetto paradossale: una tecnologia tipo terminator è ormai vista negativamente ma se fosse effettivamente utilizzata, ad esempio per impedire la produzione del polline nelle piante GM, potrebbe eliminare alla radice i problemi di impollinazione accidentale che possono sorgere tra agricoltori confinanti: se un Ogm è sterile non può in alcun modo impollinare le colture confinanti sessualmente affini. Quindi una tecnologia nata per proteggere i diritti delle aziende biotech potrebbe essere utilizzata anche per «proteggere» chi, come i coltivatori biologici, legittimamente non vogliono che le loro colture vengano impollinate dagli Ogm rischiando di perdere la certificazione biologica se la commistione supera una certa soglia (lo 0,9% in Europa).
È anche curioso rilevare come alcuni Ogm si siano diffusi molto rapidamente proprio in paesi dove la protezione brevettuale non era valida: l’India, dove ora il cotone Bt rappresenta l’80% della coltivazione di cotone, e l’Argentina, dove la soia è al 99% Ogm.
La descrizione del brevetto “Terminator” è tratta dal libro “Ogm tra leggende e realtà”, di Dario Bressanini. Zanichelli 2009
Sitografia
Posizione dell’USDA su Terminator
Ban Terminator: sito di ETC group della campagna contro Terminator