Un Cavaliere disperato manda in tv i suoi più fedeli famigli per avvertire il Quirinale che di governo tecnico non vuol sentir parlare. E preparare il terreno all’idea che, se si dovrà tornare alle urne, la colpa sarà sempre e solo sua, del traditore Fini.
Nel giorno che ha visto il Pdl in preda al caos e che ha anche segnato la morte definitiva del servizio pubblico televisivo della Rai, con un Tg1 ostaggio più di sempre degli uomini del Cavaliere, schierati senza vergogna a difendere le sue posizioni (proprio mentre Gianfranco Fini parlava dagli schermi de La7), ci si sono messi in due, Ignazio La Russa e Augusto Minzolini a martellare per un quarto d’ora su quanto sia necessaria “la chiarezza” sulla posizione del presidente della Camera e su quanto sia intollerabile anche solo l’idea di risolvere la questione con un governo tecnico. Eccolo, allora, il ministro della Difesa a ribadire che ai berluscones “non basta 0più una maggioranza solo numerica, ci vuole una maggioranza politica, altrimenti meglio tornare alle urne”. E il secondo, il direttore di quello che un tempo fu il primo telegiornale italiano, privo ormai di ogni freno inibitore, a mettere in guardia senza vergogna proprio il capo dello Stato dall’ipotesi di avvallare “un governicchio tecnico, casomai per cambiare solo la legge elettorale, che sarebbe un vero ribaltone; tanto vale restituire subito la parola agli elettori, perché le elezioni in fondo sono il sale della democrazia”. E, quindi, ad attaccare, seppur in modo meno sguaiato, proprio il presidente della Camera, con quella sottolineatura velenosa sulla “confusione dei ruoli istituzionali che, invece, meriterebbero una chiarezza definitiva”. Detto da chi, il giorno dello strappo di Fini, aveva sentito l’obbligo di manifestare agli italiani il suo giubilo per la “raggiunta chiarezza” del panorama politico.
Poteva esserci qualcosa di peggiore? Sì, quello che è avvenuto ieri nelle – un tempo segrete – stanze di Palazzo Grazioli. Dove Berlusconi, alla fine, ha preso l’unica decisione che ci si sarebbe aspettati da lui: la chiamata all’adunata per il 3 ottobre. Ma intanto ci dovrà arrivare. E non sarà facile. Ieri, prima ha dovuto sostenere una sfuriata di Gianni Letta, che proprio non ha voluto digerire l’idea di andare al Quirinale a chiedere le dimissioni di Fini, come deciso l’altra notte dal vertice di Arcore con Bossi, perché ormai non più compatibile con la sua carica “in quanto diventato un capo partito e dunque – avrebbe detto Bossi – incapace di prendere decisioni non viziate dalla sua idea politica; che ci piaccia o no, Fini ha in testa un nuovo partito”. Poi Berlusconi se l’è dovuta vedere con i suoi falchi, decisi a seguire il Senatùr sull’idea delle elezioni subito. Solo che il Cavaliere, stavolta, ha tirato il freno a mano: il Quirinale non darà mai il via alle urne e il rischio “è che ci troviamo un governo Pisanu – ha sostenuto sempre il Cavaliere, con il mandato di cambiare una parte minima della legge elettorale”, casomai proprio eliminando quel “premio di maggioranza” che ha consentito alle scorse elezioni di fare man bassa di seggi. Il timore di un governo tecnico alle porte è lo stesso che intravede Bossi. Che, però, non vuole “rimanere nel pantano” fino a marzo e se potesse andrebbe alle urne anche domani, mentre per Berlusconi le elezioni resterebbero l’unica strada praticabile in caso di manifesta ingovernabilità; ma ci si deve arrivare.
E’ per questo, per spiegare una situazione divenuta insostenibile, che il Cavaliere vorrebbe avere al più presto un colloquio con Napolitano, anche se ieri, durante il vertice a Palazzo Grazioli del Pdl, è stata anche sfiorata l’ipotesi di far salire al Colle degli ambasciatori, nelle figure dei capigruppo di Lega e Pdl, per “rappresentare al capo dello Stato lo stato delle cose”. La linea del partito, comunque, sarà tracciata stasera, durante l’ufficio di presidenza del Pdl su cui si farà anche il punto sul ruolo dei finiani nel partito e da dove dovrebbe uscire un documento di nuova, pesante censura nei confronti di Fini.
Sul piatto, però, anche il documento dei 5 punti che Berlusconi dovrà presentare alle Camere per ottenere la fiducia. E dove potrebbe tornare caldo il tema della giustizia, con il processo breve pronto a rientrare dalla finestra dopo essere stato espunto dalle parole dello stesso premier che aveva promesso che non ci sarebbe stato: il Cavaliere avrebbe detto ai suoi di voler cercare convergenze “anche su questo punto, oltre che sul Lodo Alfano costituzionale”. Comunque, prima di tutto ci dovrà essere il passaggio in aula per la fiducia. E questo non potrà avvenire prima del 20 settembre. Poi sarà la volta di un richiamo alla piazza, di una “contro-Mirabello” di una mega manifestazione a Milano, il 3 ottobre. Il Cavaliere farà il comizio finale, probabilmente a piazza Duomo “per raccogliere la più ampia folla di simpatizzanti possibile”. Tempi sempre più pesanti per la democrazia.
Da Il Fatto Quotidiano del 8 settembre 2010