Spiace dirlo, ma se la colpa di Minzolini è di fare editoriali e di irritare il Pd, Fli e il Quirinale, allora ha ragione Minzolini. Intendiamoci bene. Minzolini fu nominato 14 mesi fa direttore del Tg1 da B, essendone uno dei più fedeli portaordini su piazza, cioè non ancora direttori di qualcosa. Masi eseguì e la maggioranza del Cda Rai (compreso il presidente Garimberti) ci mise il timbro. Da allora il Tg1 ha perso 1 milione di telespettatori in un anno: la prova lampante che Minzolini è professionalmente inadeguato a dirigere il primo (per ora) tg d’Italia. Basta sintonizzarsi su Rai1 alle 20, o in qualsiasi altra edizione, per rendersi conto che il prodotto è avvilente per chi lo fa e per chi lo vede. Le notizie vengono sistematicamente censurate o falsificate o coperte con notizie fasulle e non-notizie (cappotti per cani, scuole per maggiordomi, caccia al coccodrillo fantasma nel lago di Falciano, come lisciare i capelli arricciati dall’umidità, dentiere smarrite, calamari giganti, i segreti del peperoncino e altre menate). E i telespettatori fuggono dove possono, specie da quando a La7 c’è Mentana. E specie quando appare il crapone levigato e dorato del direttorissimo, con la Treccani di legno sullo sfondo, per i suoi leggendari editoriali. 2010, fuga dal Tg1. Di questo bisognerebbe parlare. Di come sta affondando la cosiddetta “ammiraglia Rai”, non un programma qualsiasi. Di com’è precipitata, per ascolti e prestigio, a livelli che nemmeno Rossella, Sorgi, Mimun e Riotta, nonostante l’impegno, erano riusciti a toccare. Il problema è il fallimento degli obiettivi dichiarati nel piano editoriale su cui il direttorissimo ottenne la fiducia (peraltro risicata) in redazione. C’entra in tutto questo il servilismo dichiarato e sfacciato di Scodinzolini nei confronti del padrone? Certo. Ma è proprio per questo che fu nominato. Qualcuno davvero può dire che non lo sapeva, che non l’aveva previsto? Siamo seri. Se la Rai avesse cercato un direttore noto per la professionalità avrebbe chiamato Mentana (era a spasso), Mieli, Mauro, De Bortoli, Anselmi. Chi si mette in casa Minzolini sa chi è e perché lo fa. Lui, del resto, non si è mai nascosto: bastava leggere quel che scriveva sulla Stampa e su Panorama (stipendiato dalla famiglia B.) per farsene un’idea precisa. Oggi è ridicolo prendersela con Minzolini perché fa il Minzolini. Invece è proprio quel che fa il presidente Garimberti nella lettera a Masi contro l’ultimo editoriale, che ha molto irritato il Quirinale per via dell’appello pro elezioni e contro il “ribaltone”, cioè contro qualunque governo diverso da quello di B. “Giudizi – scrive Garimberti – inopportuni e invasivi delle competenze e delle responsabilità di soggetti istituzionali”, nonché frutto di “esasperato protagonismo individuale”. Ergo il presidente Rai esige da Masi “un intervento diretto e immediato”. Ora, che un direttore di giornale esprima il suo pensiero in un editoriale, non è solo normale, ma addirittura doveroso. Si dirà: ma Minzolini esprime sempre il pensiero di B. Sfido io, è lì apposta. Se esprimesse pareri critici, non l’avrebbero nominato o l’avrebbero già cacciato. Il fatto poi che abbia chiamato “ribaltoni” eventuali governi diversi dall’attuale è una sua legittima opinione che nessuno può impedirgli di esprimere, salvo incappare in una censura bella e buona (tutt’altra faccenda sarebbe imporgli di rettificare le falsità, come la presunta “assoluzione” del prescritto colpevole Mills, ma su questo tutti tacciono). Se poi Minzolini ha fatto saltare la mosca al naso al capo dello Stato, pazienza: fino a prova contraria Napolitano non è ancora il supervisore della Rai. E ci mancherebbe pure che vedere la politica in modo diverso da lui costituisse un’“invasione” nelle sue “competenze e responsabilità istituzionali”. Gli elementi per cacciare Minzolini ci sono tutti, anzi c’erano già quando fu nominato. Ma processarlo oggi per l’unica cosa che ha il diritto di fare – gli editoriali – è peggio che un crimine: è un errore. Anche perché ci costringe a difenderlo.