Vado poco a Ground Zero. Non ci sono mai andata oggi, 11 settembre. Le Torri erano, in assoluto, il mio primo ricordo del mio primo viaggio a New York. Oggi sono un invisibile intreccio di ricordi, le immagini degli aerei, l’incredulita’, lo sgomento, il dolore e la paura per chi era lì, troppo vicino. La fortuna e il caso hanno voluto che nessuno troppo vicino a me fosse altrettanto vicino a quel posto in citta’ da non sopravvivere. Eppure ognuno porta dentro una ferita, da nove anni moltiplicati per quasi tremila e moltiplicati ancora per gli altri migliaia di migliaia che, ogni giorno, in qualche parte del mondo muoiono per la follia secondo cui la vendetta ha la forza di cancellare il dolore. Dopo nove anni, Bin Laden è ancora libero in qualche posto del mondo e, purtroppo, si confondono sempre piu’ il suo volto e le sue colpe con il volto e l’innocenza di milioni di musulmani americani che oggi, silenziosamente, ascoltano con la stessa sofferenza, la lettura di quei nomi. Nomi che raccontano un mondo intero attaccato e ferito perche’ questa e’ New York, la citta’ dove vive, in un intreccio incredibile e, a suo modo armonioso, un pezzetto di tutta l’umanita’.
Da anni, instancabilmente, ascolto i racconti di chi era qui in quel giorno: Ginny che guardava il fumo dalla sua finestra nell’Upper East Side e non riusciva a parlare con suo marito, al lavoro in un ufficio proprio a due passi e con sua cognata, per fortuna fuori in qualche posto e non nella sua casa crollata; Michael che camminò fino alla sua casa nel New Jersey, in una specie di fiume umano che gli fu, comunque, di consolazione; Lisa che andò sulle rive del fiume, nell’Upper West Side, per guardare da lontano in un silenzio spettrale che cancellava ogni eco delle sirene e delle ambulanze. E i pompieri. Da allora eroi più dei marines.
Da nove anni seguo la cerimonia della lettura dei nomi con uguale sconcerto. Da nove anni provo un insopportabile fastidio quando sento chi dice che “lo meritavano” (chi? Semplici americani che lavoravano in quegli edifici?). Da nove anni continuo a chiedermi come si possa credere che l’umana tristezza per quei tremila morti innocenti possa significare, anche solo lontanamente, l’oblio di tutte le altre vittime innocenti che muoiono in mille altri posti nel mondo: inutilmente. Da nove anni mi chiedo come si possa, anche solo di sfuggita, usare questo luogo e questi morti per strumentalizzazioni politiche che istigano altro odio e altra violenza.
Nove anni fa, i cittadini fieri di questa citta’ che profondamente amo, scesero silenziosamente in strada a chiedere pace. Grazie a loro, alla loro fierezza, a quel loro saper mantenere la schiena dritta e le porte aperte a tutti, New York non e’ stata sepolta dal crollo delle torri e dalle loro macerie. New York, con nuova coscienza della propria fragilita’, ha continuato ad essere la citta’ multi culturale, multi etnica e multi “umana” che la follia dell’odio ha cercato di distruggere.
Per questo, ancora una volta, bisognerebbe ascoltare in silenzio la lettura di quei nomi e, in loro memoria, stringere la mano, in segno di pace, proprio a chi sembra piu’ lontano e diverso da noi.