In Sicilia si aspetta. E prima o poi qualcosa accade. In questi miei primi cinque mesi di vita palermitana ho imparato varie cose. Dalle più banali, come guidare la macchina per queste strade, pratica che richiede una straordinaria soglia d’attenzione e che alimenta una profonda visione relativista del tessuto urbano, a quelle più imperscrutabili, come convivere con questa sorta di filosofia di vita dell’attesa, di cui tanto avevo già letto tra le pagine di letteratura di autori siciliani. Una forma mentis dettata da pigrizia, atavica rassegnazione e tanto altro che devo ancora capire.
Qui si aspetta.
Giorno dopo giorno comprendo che la mia compagna e io potremmo non uscire mai più di casa senza alcun rischio di morire d’inedia. Basta aspettare che l’anziana vicina del piano di sotto bussi puntuale come un orologio svizzero alla nostra porta annunciando quali manicaretti sta cucinando e che ci riserverà un paio di porzioni per noi (vedi indigestione di babbaluci*…).
Così se t’abbutta** uscire a comprare il pane, basta aspettare l’arrivo in tarda mattinata del cognato del fornaio, che ogni giorno fa il giro del quartiere urlando “ppane!”, con una P che non potrebbe essere più esplosiva di così. E allora ti sporgi dalla finestra, gli fai un urlo, cali il cesto di vimini con dentro qualche spicciolo e lo “risali” con un paio di filoni freschi e croccanti.
Qui si aspetta.
Che arrivi la pioggia a portare sollievo a questa terra tragica, aspra e assetata. Poi basta un’acquazzone un po’ più intenso e prolungato per perdere il conto dei danni. Le immagini di smottamenti del terreno, accenni di frana e inquietanti crepe nell’intonaco delle case dopo il nubifragio di venerdì scorso dovrebbero far riflettere. Non bisogna essere un esperto d’idrologia o avere un’indole particolarmente catastrofista per capire che interi quartieri e frazioni arrampicate spesso abusivamente sulle colline alle porte di Palermo sono ad altissimo rischio. Eppure non si fa nulla. Si aspetta. Poi se avverrà una tragedia, un’altra Sarno o un’altra Atrani, con automobili, case e persone che scivolano via travolte e inghiottite da un’ondata di fango, si aspetterà l’individuazione dei responsabili, di chi poteva prevenire, fare qualcosa e non l’ha fatto.
Per questo e tanto altro vedere la mobilitazione dei precari siciliani della scuola riempie il cuore. Di rabbia, per la loro dignità umana e professionale vilipesa. Di speranza, in un futuro diverso, migliore, senza aspettare oltre.
* lumache di terra, cucinate con olio, prezzemolo e aglio
** mi scoccia, m’infastidisce