L’imbarazzo del nostro governo (minuscolo) in materie nautiche è tutt’altro che sorprendente. I nostri politici sono in difficoltà sulle questioni semplici, terrestri, figuriamoci sul mare. E’ proprio sull’acqua, tutto sommato, che si consuma la decadenza piena, profonda, dell’Europa.
Che una barca da pesca venga presa a bersaglio da armi da fuoco in acque internazionali, del resto, non è la cosa pi grave che accade, ormai da anni. Parlavo qualche mese fa con un alto ufficiale della Marina militare italiana. Era molto preoccupato, molto triste. Mi raccontava che i clandestini vengono spinti in mare nei giorni di Maestrale e di Libeccio forte, cioè quando perfino le nostre unità di pattugliamento restano in porto. Vengono mandati al massacro, con quelle condizioni meteo. “Sappiamo circa un decimo di quello che accade nel Canale di Sicilia. Là sotto ci sono metri di cadaveri.” Pare infatti che di molte, moltissime navi che affondano cariche di clandestini non veniamo neppure a conoscenza. Chi registra gli incidenti (solo quelli che conosciamo) parla ormai di 15.00 morti. Se l’ufficiale della Marina ha ragione, sarebbero 150.000…
Un giorno ero a Favignana, in un’abitazione sulla costa sud ovest. Ho sentito rumori nella notte. Ci siamo svegliati e abbiamo guardato fuori. C’era un tunisino (di Tozeur) esausto, non osava neppure varcare la soglia del cancello. Era zoppo, e i suoi compagni clandestini lo avevano derubato del poco che aveva dicendogli che tanto non ce l’avrebbe mai fatta a salvarsi con la gamba in quelle condizioni. Gli scafisti li avevano buttati in mare a duecento metri dalla costa. Gli demmo da bere, indumenti puliti e dei soldi. Gli fornimmo consigli su come comportarsi al traghetto, come non dare nell’occhio. Doveva andare a Parma, dove c’era il fratello. Non aveva neppure un numero di telefono, un indirizzo. Chissà che fine ha fatto.
In mare avvengono cose incredibili. La decadenza civile che osserviamo nelle strade, nelle città, in mare diventa caos, deregulation totale. Quello che avviene in mare sfugge all’occhio, sfugge a ogni controllo. La nostra cultura ha dimenticato le comuni radici nautiche dei popoli del Mediterraneo. Continuiamo a riferirci all’Europa, che è un sistema organizzato su base economica e non culturale (cosa ho da dirmi con un danese, con un tedesco di Travemunde?) mentre dovremmo costruire una Thalassocrazia Mediterranea, cioè un soggetto omogeneo, pur nelle differenze, che ricolleghi i paesi che si bagnano da sempre sullo stesso mare. Dovremmo ricordare che i nostri nonni sono morti in mare, per secoli, che la nostra storia si è svolta in mare, dagli etruschi fino ad oggi.
A furia di dimenticare chi siamo, compiamo disastri. A furia di dimenticare il nostro alfabeto, smettiamo di organizzare un discorso. Così finisce che una motovedetta libica con dieci militari italiani a bordo spari a un peschereccio del nostro Paese. Senza motivo. E senza che questo generi alcuna indignazione.