Una volta al mese, io e mio fratello li buttavamo tutti nella vasca da bagno. Rovesciavamo i nostri due preziosissimi forzieri (in realtà, scatole di alluminio porta tutto che negli armadi della mamma avevano funzioni meno nobili, tipo custodire banali calzini) e aprivamo l’acqua dopo aver prima dosato l’unico tappo di bagnoschiuma che ci era concesso per la delicata operazione. Pulire i Lego era un momento importante. Significava riconsegnarci, in un gioco infinito, la possibilità di ricominciare da capo.

Mi ricordo la precisione con cui smontavamo le costruzioni sopravvissute all’ultima battaglia tra mostri di mattoncini e come strofinavamo con attenzione (al limite della manìa, in effetti) ogni singolo pezzo. Dopo aver passato un mese tra l’erba, la terra, la sabbia, le mani sporche di merenda, i colori primari tornavano piano piano a brillare. Era bellissimo.

Il Lego per noi era una religione. Con i suoi doni e le sue pene. Svegliarsi la mattina con un codice alieno (un rettangolo che racchiude tre cerchi) tatuato sotto la schiena perché avevi dormito su un mattoncino abbandonato era prassi quotidiana. Per non parlare dei pezzi più piccoli piantati sotto i piedi nudi. O della mamma che, riordinando, faceva cadere il tuo centro di ricerca spaziale portato a termine dopo giorni di calcoli fantascientifici.

A ottobre il marchio svedese, dopo qualche anno di appannamento del business lancia un “massively multiplayer online game”. La definizione suona inquietante, in realtà si tratta di un videogioco che, una volta acquistato, ti dovrebbe aprire le porte di un mondo virtuale in cui migliaia di utenti registrati possono interagire in un gioco di ruolo a livelli, dove si cerca di combattere nemici e salvare mondi attraverso strumenti creati virtualmente con i mattoncini che il punteggio o il gioco ti mette a disposizione.

Sarà “up to date”, al passo con i tempi, come dicono gli esperti di marketing. Ma questa evoluzione del mattoncino mi fa venire nostalgia del forziere segreto e della vasca da bagno piena di colori.

Il Cobra ha solo due anni, ma con i pezzi ereditati dal papà già comincia a costruire improbabili casette per la gatta tossica. Non credo che gli racconterò che attraverso il computer può vincere guerre e conquistare nuovi mondi di mattoncini. Il Lego ha una vita propria che non è fatta di bit ma di colori, di piccole manine, di click, del rumore di crolli sul pavimento e della soddisfazione di costruire qualcosa che è più alto di te. Sarò una mamma vintage, che vi devo dire. Ma va bene così.

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