Aldo Brancher “aveva consapevolezza dell’illecita provenienza delle somme che riceveva”. E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 28 luglio il giudice di Milano Annamaria Gatto ha condannato, con rito abbreviato, l’ex ministro imputato per ricettazione e appropriazione indebita, a due anni di reclusione e quattro mila euro di multa per uno dei tanti capitoli della vicenda sulla tentata scalata ad Antonveneta.

Nelle prime pagine delle motivazioni, depositate questa mattina, il giudice ha fatto una ricostruzione storica della vicenda processuale di Brancher, in particolare tra giugno e luglio scorsi: da quando, nominato ministro, aveva eccepito il legittimo impedimento, a quando in aula ha rinunciato “all’incarico ministeriale conferitogli”, chiedendo di essere processato con rito abbreviato. Brancher è stato condannato per quattro dei sei episodi contestati dal pm Eugenio Fusco che riguardano i reati di appropriazione indebita e ricettazione per una cifra complessiva di 827mila euro ricevuta dall’ex ad di Bpi Gianpiero Fiorani e sottratta dalle casse della banca. Episodi che, secondo l’accusa, sono stati commessi tra il 2001 e il 2005.

Il giudice, trattando gli episodi di ricettazione, tra cui quello per cui è stata archiviata la posizione del ministro Roberto Calderoli, ha osservato che la ricostruzione dei fatti “è tale da pienamente supportare il ragionevole convincimento che Brancher si sia seriamente rappresentato la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed abbia consapevolmente scelto di riceverlo, accettando – pur di non rinunciare ai vantaggi che ne ricavava – di commettere il reato di ricettazione”. Inoltre nelle motivazioni si sottolinea che la vicenda “dimostra” che l’ex ministro “ha più riprese ricevuto, e richiesto, ingenti somme di denaro che – proprio in considerazione dell’entità degli importo (…) – non aveva alcuna possibilità di ritenere che provenissero dal patrimonio personale di Fiorani e gli fossero da lui elargiti per mera liberalità”. Del resto, ha proseguito il giudice, “l’imputatao sapeva che l’ad era in grado di dirottare a beneficio di altri denaro di proprietà della banca avendo personalmente usufruito di tale servizio quando aveva ottenuto la considerevole cifra di 420mila euro”, cifra depositata sui conti della moglie del politico (il processo nei suoi confronti si terrà a Lodi) e poi girata a lui stesso come plusvalenze per operazioni di mercato su titoli Tim e Autostrade effettuate dagli ex vertici della banca.

Nelle motivazioni, inoltre, l’accusa ricostruisce i rapporti tra Brancher e Giampiero Fiorani “tali da potersi definire di amicizia”. Così Fiorani “si è rivolto all’amico per ottenere appoggi che, quando è stato possibile, gli sono stati garantiti ed il fatto che si sia trattato di un interessamento prezzolato è circostanza che non lo ha turbato assolutamente rientrando pacificamente nella sua concezione delle relazioni di affari”. Il giudice ha sottolineato come “appare del tutto plausibile” quanto affermato da Fiorani e cioè che con Brancher era stata raggiunta “una sorta di intesa (…) che prevedeva la dazione di circa 500/600mila euro a più riprese”. A questo proposito ha citato anche le dichiarazioni di altre persone coinvolte nella vicenda per ricordare che l’ex banchiere era interessato a “ottenere l’appoggio di personaggi del mondo politico e istituzionale – era stato messo a verbale – che potevano favorire e/o proteggere e/o agevolare le attività della Bpl, appoggio che – per quanto riguarda Brancher – si sarebbe potuto sostanziare, nelle intenzioni del banchiere, anche in interventi diretti a influenzare le nomine dei candidati alle elezioni nella circoscrizione lodigiana”.

Nel provvedimento del giudice, tra i vari episodi contestati, è stata ricordata anche “l’elargizione fatta all’imputato” nel parcheggio dell’autogrill di San Donato Milanese: aveva ricevuto in una busta 200mila euro in contanti da Donato Patrini, ex funzionario di Bpl, in quel periodo “utilizzato come ‘ufficiale di collegamento’ nel senso che veniva convocato a Roma da Brancher per essere messo in contatto con Fiorani”. La somma, prelevata dal “fondo nero” gestito da Silvano Spinelli, ex braccio destro di Fiorani, era stata consegnata affinché Brancher – che non era ancora parlamentare ma aveva “un ruolo significativo all’interno del partito di appartenenza e legami, o quanto meno, ottime relazioni con esponenti di altri partiti” – intervenisse per evitare che nelle elezioni politiche del 2001, nel collegio di Lodi, venisse candidato Di Giovine, “sgradito”, all’allora amministratore delegato della banca. In più, il fatto che il denaro sia stato consegnato da Patrini per strada, senza che Brancher scendesse dalla sua auto (“ha preso la busta, ha salutato ed è andato via”), ha portato il giudice a rilevare: “E’ evidente che se si fosse trattato di un fatto connotato da un minimo di liceità non sarebbe stato necessario operare con tanta rapidità e, nel contempo, circospezione”.

 Nelle motivazioni si parla anche della consegna a Brancher di altri 200mila euro in contanti da parte di Fiorani. Consegna avvenuta nella primavera del 2005 nell’ufficio dell’allora amministratore delegato. In relazione a questo episodio è stata archiviata la posizione dell’attuale ministro Roberto Calderoli.

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