Per tre settimane al tavolo del Consiglio dei ministri ha seduto un uomo rinviato a giudizio per ricettazione e appropriazione indebita che ha tentato di evitare il processo nascondendosi dietro il legittimo impedimento ideato da Silvio Berlusconi per le più alte cariche dello Stato e l’intero esecutivo. Per questo nominato dal premier “ministro al nulla”, per dirla come Famiglia Cristiana. Ma Aldo Brancher non ce l’ha fatta. Costretto dalle polemiche scaturite dalla sua improvvisa e ingiustificata nomina si è dovuto dimettere e presentare davanti alla corte di Milano. Che l’ha così potuto giudicare. E condannare: due anni di carcere e quattromila euro di multa per uno dei tanti capitoli della vicenda legata alla tentata scalata ad Antonveneta in cui è imputata anche la moglie, Luana Maniezzo. La pena è comunque coperta dall’indulto perché inferiore ai tre anni. E Brancher si era premurato di chiedere il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, una volta saltato lo scudo del legittimo impedimento. Che ha usato fin quando ha potuto. In tribunale a Milano non poteva andare però assisteva, in compagnia del presidente del Senato Renato Schifani, all’apertura della stagione all’Arena di Verona. O partecipava al matrimonio della senatrice Cinzia Bonfrisco a Pastrengo, insieme ai ministri Mariastella Gelmini, Maurizio Sacconi, Renato Brunetta. A officiare le nozze, con un’apposita delega firmata dal sindaco Mario Rizzi, Renato Schifani.
Al tribunale di Milano, intanto, il pm Fusco, si sentiva “preso in giro. Di cosa è ministro? Io ancora non ho capito”, disse alle agenzie di fronte alla richiesta dei legali di Brancher a usufruire del legittimo impedimento per “organizzare il ministero”. Persino Giorgio Napolitano si sentì in dovere di intervenire e dal Colle arrivò una delle note più chiare della storia repubblicana: “Brancher non deve organizzare alcun ministero perché è un ministro senza portafoglio”. I legali fecero subito marcia indietro: “Non organizzare il ministero certo, ma pianificare le riforme”. E lui, tutto serio: “Ho molto lavoro da fare”. Di andare in tribunale a Milano non c’era proprio tempo. Però per partecipare alle cene di Arcore sì, come è avvenuto due giorni dopo l’udienza slittata per legittimo impedimento. Brancher diede disponibilità a presentarsi per i primi di ottobre e, disse, “andrei anche prima ma in tribunale d’estate non c’è nessuno”. Dichiarazioni rilasciate da ministro. Di record ne ha registrati tanti. E’ stato in carica meno di tre settimane. Ed è stato nominato per evitare i processi ma poi proprio in un’aula di tribunale ha annunciato le dimissioni. Travolto dalle polemiche (persino Vittorio Feltri scrisse: “Meglio rinunciare a Brancher e Fini”, che ancora stava nel Pdl), è stato costretto a “fare un passo indietro” ma, disse, “non ho nulla da rimproverarmi. C’è tanta cattiveria in questo paese. Se la sono presa con me perché l’Italia ha perso ed è uscita dai mondiali”. In linea con l’altro ministro, Claudio Scajola, che si dimise perché si ritrovò con un appartamento vista Colosseo ma, si difese, “qualcuno l’ha comprato a mia insaputa”. Scajola ora la rivende per fare beneficenza, Brancher si leggerà le motivazioni della condanna depositate ieri. Dove il suo interesse nei confronti di Giampiero Fiorani è definito dal giudice “prezzolato”, dove è indicato come un uomo che “sapeva di ricevere soldi di provenienza illecita”. Uno che è stato, per tre settimane, ministro della Repubblica. Ma “c’è tanta cattiveria”.