I Carabinieri del gruppo di Monreale cercano il tesoro di Giovanni Brusca, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci poi diventato collaboratore di giustizia. Secondo i magistrati che coordinano l’inchiesta, il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Francesco Del Bene, Roberta Buzzolani e Lia Sava, dal carcere di Rebibbia, Brusca avrebbe continuato a gestire un ingente patrimonio. Aziende, denaro, persino opere d’arte. Sono scattate per questo motivo perquisizioni domiciliari nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche alcuni familiari e persone vicine al boss. E proprio nella casa della moglie, che vive in una località segreta insieme al figlio, sarebbero stati trovati 200mila euro.
Non solo. Il boss di San Giuseppe Jato avrebbe dato ordini su come amministrare il tesoro durante i permessi premio di cui godeva, in quanto collaboratore di giustizia. A seguito di questa notizia il caso diventa politico. ”La vicenda di Brusca e’ gravissima, ma nessuno strumentalizzi il pentito per fare favori alle mafie”, afferma Fabio Granata, deputato di Fli e vicepresidente della commissione Antimafia. Mantre il Presidente Commissione Programmi di Protezione, Alfredo Mantovano chiede apertamente”la revoca del programma di protezione”. Duro anche Beppe Lumia, senatore del Pd componente della Commissione antimafia: “Brusca deve dire tutto quello che sa, senza omissioni e depistaggi. E’ innegabile che con le sue rivelazioni abbia dato un notevole contributo alle indagini, ma non puo’ permettersi di prendere in giro lo Stato”. Il capogruppo al Senato del Pdl Maurizio Gasparri chiede che “si apra una riflessione sul pentitismo”.
In questo momento i magistrati della Dda di Palermo stanno ascoltando Brusca nel carcere di Rebibbia. L’ex boss di S. giusseppe Jato dovrà rispondere di fittizia intestazione di beni, riciclaggio, ma anche di tentata estorsione aggravata. In una lettera scritta dal carcere e inviata a un prestanome ci sarebbero pesanti minacce.
Giovanni Brusca, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, è stato arrestato il 20 maggio del 1996 uno degli esecutori materiali della strage di Capaci, nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta. Il boss è stato condannato, inoltre, come mandante del sequestro e dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino che insieme a Brusca era tra gli organizzatori dell’attentato a Falcone. Oggi Brusca, collaboratore di giustizia,dopo essere stato sottoposto a programma di protezione, è nuovamente indagato dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata.