Con l'autonomia gli istituti possono decidere se avvalersi del contributo dei privati. Qualche dirigente ha indetto un bando per fare dei restauri, altri permettono alle aziende di "firmare" banchi e sedie offerti. L'alternativa, spesso, è sedersi per terra
Come fanno gli istituti scolastici ad andare avanti senza soldi? Chiedono aiuto al marketing. Ad emulare l’idea dell’istituto superiore Carlo dell’Acqua di Legnano, in provincia di Milano, che ha indetto un bando di 20 mila euro per restaurare un affresco, ci pensano ora anche molte scuole di Roma, che aspettano interventi da più di 2 anni.
Nel caso della Lombardia è bene ricordare che grazie al sistema della Dote scuola di Formigoni, in base ai dati ufficiali della Regione relativi allo scorso anno scolastico, alle scuole private sono andati 51 milioni di contributi per integrazione retta (68 mila beneficiari su 253.203 iscritti), sommati al sostegno alla disabilità pari a 3 milioni e 400 mila euro. Gli iscritti alle scuole pubbliche, invece, hanno usufruito di 38 milioni (192 mila beneficiari su 1.115.390).
Che sia davvero la pubblicità l’unica via d’uscita? Il brand, intanto, entra nelle scuole e lo fa dalla porta principale visto che, a Legnano, l’azienda che si occuperà dei lavori (oltre ad avere una targa all’interno dell’edificio) potrà istallare un cartellone anche all’esterno per tutta la durata del restauro, utilizzare le immagini dell’affresco ed essere citata nei video della provincia di Milano. Diversa la provocazione lanciata nella Capitale dove in alcuni istituti, a chi interviene per colmare i vuoti dell’amministrazione pubblica acquistando banchi sedie e lavagne, sarà data la possibilità di lasciare impresso il proprio nome sulla mobilia donata. Il colosso dei mobili low cost non se l’è fatto ripetere due volte: ad arredare le classi della scuola elementare Torricella Nord (periferia romana), infatti, ci ha pensato l’Ikea per un totale di 50 sedie, 50 banchi e due cattedre.
Meno fortunati i bambini delle prime classi della scuola elementare di via Gastinelli, sempre nella periferia di Roma, che al primo giorno di scuola hanno trovato una bella sorpresa: aule completamente vuote. In soccorso di qualche alunno c’erano mamme intraprendenti con sedia piegevole al seguito. Per gli altri lezione sul pavimento.
Non c’è dunque da meravigliarsi se cresce il numero degli istituti che senza aspettare l’ok delle istituzioni ricorrono in autonomia ai privati per rinforzare il proprio bilancio. C’è chi, come le elementari Thouar-Gonzaga di via Gentilino a Milano, espone striscioni con il nome delle ditte che hanno fornito i materiali per il rinnovo. E chi è pronto ad ospitare pubblicità negli schermi al plasma sistemati nei corridoio della scuola. Succede anche questo a Milano, precisamente all’istituto professionale Bertarelli di corso di Porta Romana.
Il paradosso arriva quando la scuola è fatta in casa come è successo in provincia di Ancona, nel centro calzaturiero a Casette d’Ete, dove l’edificio scolastico è stato completamente costruito a spese della Famiglia della Valle. Una scuola elementare progettata dalla moglie dell’imprenditore proprietario della Tod’s: nella parte alta dell’edifico, sorretto da maestose colonne, compare ben in vista il cognome della famiglia.
Così la scuola italiana somiglia sempre più a quella americana, dove da tempo la pubblicità trova spazio tra gli studenti: le aziende, infatti, firmano dei veri e propri contratti con i quali le varie società possono collocare nelle scuole i loro prodotti, fornire materiale didattico, dando in omaggio computer e campi di football, insomma usare i centri educativi come preziosi canali di marketing. La conquista della scuola da parte delle aziende è un tabù che negli Stati Uniti è caduto da tempo. Ma se questo accadesse anche da noi? Alcuni dirigenti scolastici che si trovano senza risorse cercano aiuti ovunque pur di andare avanti.
D’altra parte, i pubblicitari sanno perfettamente come usare la comunicazione per colpire chi li ascolta. In questo caso sarebbero i giovani, una fetta di mercato molto appetibile. Ad oggi in Italia, c’è l’autonomia degli istituti che decidono se accettare la “collaborazione” di privati anche se ormai costretti. Finora ci si è limitati a donazioni di libri e materiale informatico. In futuro, chissà.
di Luigina d’Emilio