E’ ormai puntuale la dichiarazione fuori luogo di Giuseppe Ayala, ex magistrato, che ogni anno ci regala degli sprazzi di lucidità che inducono le nostre menti offuscate alla riflessione.

L’anno scorso, mentre mezza Italia insieme a Salvatore Borsellino, si chiedeva se l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino avesse incontrato Paolo Borsellino il 1 luglio 1992, Ayala rilasciava un’intervista di punto in bianco confessando che Mancino gli aveva mostrato l’agenda con su scritto l’appuntamento con Borsellino. Su precisazione della giornalista che gli ricordava le contraddittorie versioni di Mancino alternate ad un laconico “non ricordo”, Ayala confermava la sua versione per poi ritrattare curiosamente qualche giorno dopo, quando qualche sparuto giornale faceva notare a Mancino l’affermazione dell’ex magistrato.

Ma Ayala non smette mai di stupirci e quest’anno ha tirato fuori dal cilindro una trovata nuova di zecca e soprattutto dotata di grande senso civico, “Cosa nostra è cambiata, da oltre diciotto anni non uccide più, non è forse giunto il momento di avviare una responsabile, sia pur graduale, rivisitazione delle scorte in circolazione?”. Geniale, mi domando come mai non ci abbia ancora pensato nessuno, mentre noi pensiamo a come difendere i nostri magistrati palermitani e nisseni dagli attacchi mediatici, politici e mafiosi, Ayala suggerisce di levargli l’unica forma di difesa che hanno: la scorta. Eppure anche lui è stato magistrato e lo è stato fino a ridosso del periodo più triste e nero della storia repubblicana, al fianco di giudici del calibro di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Forse Ayala, essendo fuori dall’ambiente da un po’, non è al corrente dell’allarmante situazione palermitana, come gli ha ricordato il pubblico ministero palermitano Antonino Di Matteo. Basti solo ricordare alcuni episodi che hanno attentato alla vita dei magistrati della sola Palermo nell’ultimo anno, ultimo in ordine cronologico, l’informativa del Viminale che ha rivelato la progettazione di attentati da parte di Cosa Nostra ad edifici simbolo della lotta alla mafia nel capoluogo siciliano: il Palazzo di Giustizia e la Questura. Passiamo poi alle minacce rivolte direttamente ad alcuni magistrati palermitani e nisseni: Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, Sergio Lari, Domenico Gozzo e allo scampato attentato messo a punto dagli uomini del boss Domenico Raccuglia, arrestato il 15 novembre 2009, ai danni del pubblico ministero Antonio Ingroia che, se non ci fosse stata una telecamera puntata sul casolare di Calatafimi in cui aveva trovato rifugio il boss latitante, sarebbe saltato in aria.

Tutto questo per un semplice motivo, perché a Palermo si lavora molto e si chiacchiera poco, si indaga sulle stragi del ’92, sulla trattativa tra mafia e Stato, su rapporti poco limpidi tra alcuni membri delle forze dell’ordine e i boss mafiosi più sanguinari della storia del nostro paese, sui legami pericolosi tra mafia e politica, mafia e imprenditoria, alta finanza, mondo degli affari…

A rincarare la dose ci pensa poi l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo: “Basta con le polemiche sulla visita del Papa perché nessuno si chiede quanto costa alla cittadinanza la cena di un magistrato con gli uomini di scorta o quella di un politico?”. L’arcivescovo parla dei due milioni di euro che i palermitani stanno per sborsare per salutare con la manina fuori dalla finestra il Papa in visita nel capoluogo siciliano, si tratta di soldi pubblici che gli italiani sborsano grazie alla famosa leggina firmata Berlusconi sui grandi eventi che vengono finanziati dal popolo italiano. Nell’elenco dei “grandi” eventi, una serie di visite del Papa nelle città italiane, feste patronali, congressi cattolici, riunioni nazionali delle famiglie numerose… Peccato, invece, che nessuno paghi le cene ai quei magistrati che rischiano la vita ogni giorno per dare a noi un paese più giusto, evidentemente le cene dei magistrati non sono considerate “grandi eventi” e nessuno gli paga per esempio le trasferte (quelle del Papa sono rimborsate sempre per la storiella dei grandi eventi) per andare in giro per l’Italia a parlare di legalità, antimafia e giustizia, compiendo un’opera civica e morale imponente. A volte questi stessi magistrati e quelle stesse scorte di cui parlano Ayala e Romeo sono pure costretti a pagare la benzina delle auto di scorta da sé senza ricevere alcun rimborso dallo Stato che non mette a disposizione dei magistrati e delle forze dell’ordine i fondi necessari per il buon funzionamento della macchina della giustiziai, insomma si pagano la benzina e pure senza lamentarsi. Sembra di essere tornati nel baratro del “se salta in aria Falcone chi ce la ripaga la facciata del palazzo?”, “non sopportiamo più gli schiamazzi degli uomini delle scorte e il rumore delle sirene delle macchine che sfrecciano nella notte” o al più recente “non vogliamo che Ingroia e Teresi accompagnino a scuola i loro figli (all’epoca frequentavano l’asilo) per motivi di sicurezza”.

Io non ci sto a tornare in questo clima di insofferenza nei confronti di quelli che considero gli eredi, gli allievi, di Falcone e Borsellino e se Ayala e l’arcivescovo Romeo me lo permettono, mi farebbe molto piacere offrire una cena ad Ingroia, Di Matteo e rispettive scorte visto che a loro non gliela paga proprio nessuno, altro che soldi pubblici!

P.S. Le scorte dipendono dal Ministero dell’Interno, se Salvatore Cuffaro ha l’assegnazione di una scorta è per volontà del Ministero, non per questo devono rimetterci altre persone che lavorano in condizioni pietose con profondo senso del dovere e dedizione. Mi domando se il Ministero non voglia proteggere alcuni politici da loro stessi o dai loro simili.. per capirci persino Marcello Dell’Utri è scortato.

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