Cellulare, altresì conosciuto come telefonino: il più grande nemico, sabotatore della relazione, non importa se fra genitori e figli, amici, amanti coppie più o meno regolari e convenzionali. Non stiamo parlando delle incomprensioni che derivano dalle parole troncate, mancanza di punteggiatura, uso di lettere non previste dall’alfabeto e simboli e sequenze esoteriche di simboli strani. Lasciamo anche perdere gli attentati continui alla lingua italiana e alla semantica dove denominazioni e contenuti corrispondono raramente, elementi che giustificano la difficoltà di comunicazione e che sono alla base della mancanza, di fatto, di dialogo.
Vogliamo sottolineare un altro aspetto, forse il più deleterio, dell’uso continuo, forse esagerato, dei cellulari: la profonda e subdola modifica del concetto di tempo che ingenera negli utenti intensivi.
Ci si fa l’idea che tutto e sempre debba avvenire senza ritardo alcuno. Il mondo è solo istantaneo e simultaneo. Non esistono, non sono più accettati i ritardi. Scrivo un Sms. Se non ricevo risposta immediata è perché lei o lui sta facendo qualcos’altro. Chissà con chi. Non mi pensa. Non mi ama. Non è interessato alla relazione. Dunque lo lascio. Mai che venga considerata la possibilità che il cellulare non sia sempre in tasca o in mano, pronti per rispondere. Se si è in moto o sul motorino occorre piantarsi il cellulare fra orecchio e casco – pratica dolorosa e malsana – anche se per il rumore del vento non si capisce comunque nulla. Si rinuncia a un splendida vacanza in barca se c’è il rischio di ritrovarsi senza copertura. Mai che si accetti che il cellulare sia in zona di scarsa ricezione, che abbia esaurito la batteria, che sia guasto, che il messaggio non sia stato recapitato. Piuttosto si accetta il partner. La stragrande maggioranza degli utenti non ha la minima idea di come funziona la tecnologia della telefonia cellulare. Poco male: se non interessa, non interessa. L’importante è che funzioni. Però si pretende la perfezione. Non è di questo mondo. Di certo non è dei cellulari. Possono non funzionare. Mai che la cosa venga creduta dall’altro/a più o meno sospettosa/o.
Non si è disposti ad aspettare. Si deve sempre e comunque comunicare. In realtà importa poco dei contenuti. L’importante è verificare che l’altro/a risponda. Anche se non si ha nulla da dire. Se ci si chiama dieci volte al giorno, non esageriamo, diciamo quattro nelle ore dalle 8 alle 20, quale potrà essere il contenuto della telefonata in una giornata normale?
Una volta si rispondeva al telefono con “Pronto?” disponibile all’attesa. Oggi chi chiama aggredisce con uno squillante: “Allora?” Allora che !? Sei tu che mi hai chiamato e mi chiedi allora? Trattasi d’innesco certo per litigio telefonico. Istantaneo ovviamente.
Avere un po’ di tempo per pensare fa bene a se stessi e alla risposta. Non concedere ritardi sta diventando una sindrome. Mai capitato che, seduti a tavola, uno dei commensali, pur di rispondere subito a un’incauta domanda o nella fretta di intervenire in un dialogo in corso, distribuisca quanto sta masticando sui primi vicini solo perché deve parlare con la bocca piena, deve rispondere subito altrimenti… Altrimenti cosa? Come se la risposta perdesse di valore se arriva con un minimo di ritardo. Sempre e comunque aborrire la pausa.
Eppure sono così rari i fenomeni naturali istantanei. Tanto da essere innaturali. Dare tempo al tempo è pratica buona e giusta. Non erano così stupidi i nostri antenati. Si prendevano il tempo per pensare.
Rivendichiamo il diritto al ritardo?