A Napoli esistono, anzi resistono, Forza Italia e la Margherita, solo apparentemente scomparsi con la nascita del Pdl e del Pd. Per non parlare dello Sdi, partito evaporato da quasi un paio di anni. Esistono ancora a spese nostre, ovviamente.
Al Comune di Napoli fioccano i gruppi consiliari composti da un solo consigliere. Ce ne sono otto. I capigruppo di se stessi hanno così diritto a una struttura autonoma con cinque dipendenti. Non solo, secondo un regolamento approvato sei anni fa che non si riesce a scardinare – nonostante i tentativi del presidente dell’aula Leonardo Impegno – i 270.000 euro annui destinati al funzionamento dei gruppi per gli acquisti di carta, toner, manifesti, noleggio di sale convegni, mazzette di quotidiani, vengono divisi in parti uguali per il 50% fra tutti i gruppi regolarmente costituiti e per il restante 50% in proporzione al numero dei consiglieri appartenenti al gruppo.
Fatti due calcoli, questo significa che un consigliere del Pd (gruppo di 15 persone) o del Pdl (14 persone) riceve circa 3.000 l’euro l’anno, mentre un capogruppo di se stesso ne ottiene circa 10.000. E siccome in questo modo, tra partiti strutturati, nostalgici di partiti ormai scomparsi e liste civiche, i gruppi sono lievitati al numero abnorme di 17, il palazzo di Via Verdi non ce la fa a contenerli tutti e il Comune è costretto a sborsare canoni di affitto per disporre di ulteriori uffici in altre sedi distaccate.
Se almeno il consiglio funzionasse e producesse atti e delibere, potrebbe anche valerne la pena. Macché. Lo stallo amministrativo degli ultimi mesi è palese. Da febbraio pochissime le delibere importanti approvate, e sono relative soltanto a provvedimenti di bilancio. Negli ultimi quattro anni, su 135 sedute convocate, l’assemblea è saltata per mancanza del numero legale ben 36 volte. L’ultima volta è accaduto ieri. Solo 29 presenti su 61. Rinviata quindi la trattazione della proposta di riforma della polizia municipale.
Il sindaco Pd Rosa Russo Iervolino, che finora non si è mai avvicinata all’idea di dimissioni, sta iniziando a dare segni di nervosismo. E si è lasciata sfuggire qualche parolina in proposito: “Non sono attaccata alla poltrona, è talmente scomoda che prima me la slego meglio è”. Non è difficile individuare una delle cause dell’ingovernabilità nell’eccessiva frammentazione del quadro politico consiliare. Diciassette capigruppo significano continue richieste ed estenuanti mediazioni, anche soltanto per convocare una seduta.
Ma come si è arrivati a tanto? Semplice. Per fare un gruppo sono sufficienti tre consiglieri, oppure l’esistenza di un gruppo parlamentare di riferimento. Ma il regolamento salva i diritti acquisiti in passato. Ovvero: nel 2006 furono eletti consiglieri nelle liste Forza Italia e Margherita, e quindi i relativi gruppi possono restare in piedi anche se ne nel frattempo si sono ‘svuotati’ dei consiglieri. Basta che ne resti uno. E uno resta sempre.
Intanto il centrodestra invoca il commissariamento. Ma non ha i numeri per sfiduciare la sindaca. L’anno prossimo Napoli tornerà alle urne, con la Iervolino non candidabile dopo due mandati consecutivi. E nel frattempo l’unica strada percorribile per mettere in moto un consiglio comunale riottoso pare quella di riscoprire una norma statutaria mai utilizzata: riunire le sedute in prima e in seconda convocazione, e non più soltanto in prima come da prassi consolidata. In seconda convocazione, il quorum si abbasserebbe da 31 a 12 consiglieri. In pratica basterebbe vedere in aula i capigruppo, e nemmeno tutti.