Politica

La tentazione Profumo

Il senso dei democratici per il Papa straniero e la ricerca storica del premier banchiere

E se fosse Alessandro Profumo il nuovo “Papa straniero” a cui affidare il centrosinistra? A leggere i commenti dei democratici, le pagine di Corriere della Sera e Repubblica, ieri, si respirava un’aria mistica, l’elogio del combattente sconfitto ma non domo pronto per nuove battaglie, il leader che manca. Certo, forse non hanno letto Bertolt Brecht. Anzi: dietro l’incredibile passione delle classi dirigenti della sinistra moderata per i banchieri, dietro la vera e propria “pluto-filìa” che affiora incontenibile tra i riformisti in cerca di leader, c’è il rovesciamento della famosa battuta per cui, secondo il grande drammaturgo tedesco, “il primo ladro è colui che ha fondato una banca, non quello che ha tentato di svaligiarla”. Si dirà: antiquata, démodé. Non è più chic. E infatti, se leggi le note commosse che ieri popolavano la prima pagina di Repubblica, o l’editoriale di Massimo Giannini che definiva Alessandro Profumo come L’ultimo dei Mohicani, ritrovi le tracce di un sentimento costante di questi anni: partecipazione, pathos, il senso del Pd per le banche.
L’entusiasmo di Fassino. “Abbiamo una banca!”, esclamò, come è noto, Piero Fassino gioioso. La storia si incaricò di smentire questo grido di battaglia. Ma nessuno potrebbe correggere l’ex segretario se oggi gridasse: “Abbiamo un banchiere”. In realtà ne hanno più d’uno: sono diventati il bene-rifugio, la scuola quadri da cui attingere nei momenti di transizione. A chi pensava, Eugenio Scalfari, quando nell’editoriale di domenica tratteggiava il profilo del leader da opporre a Nichi Vendola, “il realista” da opporre “al sognatore”? Quel fondo, sembrava alludere a un leader possibile e cominciava, per esempio, scaricando Pier Luigi Bersani in maniera spietata: “Il Pd non ha appeal (stavo per dire sex appeal) Bersani da qualche tempo è più incisivo – scriveva Scalfari – ma ha ancora un’aria da buon padre di famiglia, di buonsenso, ma non certo da trascinatore. Bersani – aggiungeva – non fa sognare. Non è il suo genere, e credo che non gli piaccia”. E ancora: “Shakespeare dice nella Tempesta che la nostra vita è fatta della stessa stoffa di cui sono fatti i nostri sogni. Bè, Pier Luigi Bersani non è fatto di quella stoffa”. Il fondatore diRepubblica spiega che Vendola sa far sognare, ma il suo scopo è ricostruire la sinistra (dev’essere una colpa). E aggiungeva: “Ce lo vedo poco a Palazzo Chigi alle prese con i capi di governo stranieri, le banche, gli imprenditori, con Marchionne”. E cosa concludeva? “Veltroni parla da tempo di un Papa straniero come fu a suo tempo Romano Prodi che guidò il riformismo di centrosinistra mettendo insieme il carisma del leader e le capacità di governo che la politica richiede”. Ebbene, ieri leggendo Giannini si avvertiva entusiasmo: non solo per Profumo, ma per la figura stessa del banchiere come ruolo sociale di garanzia, un baluardo contro il berlusconismo: “Con Profumo ripone l’ascia di guerra l’ultimo dei Mohicani, l’ultimo banchiere che, nell’Italietta dei conflitti di interessi e del capitalismo di relazione, ha almeno provato a gestire la sua azienda con le logiche di mercato, compiendo svolte non ortodosse che l’hanno proiettato fuori dai confini asfittici dell’orticello domestico. L’ultimo manager che – proseguiva l’editorialista di Repubblica – nel Piccolo Paese dei “furbetti del quartierino”, coperti dalla vigilanza e dei “Salotti buoni” garantiti dalla politica, ha almeno cercato di difendere l’autonomia della sua banca, facendo scelte che l’hanno messo ai margini di quel che resta del cosiddetto establishment”. Caspita. È il profilo di uno statista, non certo di un uomo da Cda.
Plutofilìa? Se si volesse tornare indietro nel tempo, risalendo il filo della pluto-filìa democratica si dovrebbe cominciare da Raffaele Mattioli e Palmiro Togliatti. Ovvero dal “banchiere rosso” che durante il fascismo salvò i diari di Antonio Gramsci in un caveau e “il Migliore”. E poi dalla grande campagna del Pci in difesa della banca d’Italia ai tempi di Paolo Baffi. Ma era ancora un tempo in cui la divisione di ruoli tra la politica e la finanza era chiara. Negli ultimi anni, invece, la destra è diventata populista e anti-plutocratica (almeno a parole): Giulio Tremonti ha aperto le danze contro “i banchieri di sinistra”, Silvio Berlusconi lo ha seguito (“Sono amici della sinistra”), e di recente Marina Berlusconi ha ribadito fingendo di smentire: “Non è una questione di banchieri di sinistra – ha detto al Corriere della Sera – quanto di banche di sinistra. È una constatazione innegabile il fatto che la sinistra abbia un’influenza massiccia su settori importanti dell’economia, dalle coop alle polizze al credito. È questo il vero conflitto di interessi” (se lo dice lei…). Va detto che non c’è banchiere che, in questi anni, non sia stato blandito o corteggiato dall’establishment progressista. Si cominciò nel 1993 con Carlo Azeglio Ciampi, che dal punto di vista storico è il primo premier ad aver designato ministri di area post-comunista. Si proseguì con Lamberto Dini che – a modo suo – sedusse anche Il manifesto con il suo titolo choc “Baciare il rospo”. Non è un mistero che quando fu colpito da ictus – nel 1999 Beniamino Andreatta lavorasse alla leadership di Giovanni Bazoli. Il banchiere bresciano, d’altra parte, è stato per anni ospite – in braghe di velluto – dei convegni ulivisti di Camaldoli.

Banchierite. Nel 2000, mentre il centrosinistra era governato da Giuliano Amato ci fu persino chi fece il nome di Antonio Fazio come possibile leader. Tommaso Padoa-Schioppa divenne ministro dell’Economia nel Prodi-bis. Subito dopo fu la volta di Mario Draghi. Bastava che in una relazione criticasse la politica economica di Berlusconi perché il suo nome fosse nel toto-premier di tutti i governi tecnici. C’è insomma, un pezzo di Pd e un pezzo di giornalismo democratico che preferisce il soccorso bancario al soccorso rosso, la leggenda dei santi finanziatori al rischio di scalata del vendolismo o dei “rottamatori” renzisti. Nella comunità dei riformisti affranti cresce la speranza del “Papa straniero” che si fa leader, ovvero del marziano che arriva fuori dal mondo della politica dove la battaglia dell’egemonia è persa. Scherza, ma nemmeno troppo Marco Minniti: “Adesso diranno che noi 75 firmatari del documento Veltroni sapevamo, che abbiamo fatto cacciare Profumo e che ora lo candidiamo a leader del Pd”. Aggiunge, ironico, Giulio Santagata: “Non è che non mi piacerebbe ma…”. Dateci Passera! dateci Profumo! E se non c’è uno di questi due, dateci almeno Roberto Saviano.

Da Il Fatto Quotidiano del 22 settembre 2010