“A Bali si bala”, chiosa Andrea Pazienza in una delle tavole che raccontano il suo viaggio di nozze nell’isola indonesiana. Che c’entra con Mangia prega ama? Niente, appunto. Ma con una cazzata dadaista il grande fumettista faceva ridere. Il gioco di significanti del Paz è di quelli genialmente scemi. L’anno sabbatico di Julia Roberts in giro per il mondo è invece una compilation banale (la scemenza è un dono dell’intelligenza, la banalità no) di luoghi comuni e clichè da far invidia a un depliant della Valtour. Il top del film è quando l’ex pretty woman risucchia, in una trattoria romana, un piatto di spaghetti alla pummarola (ma il basilico è immancabile) sulle note dell’aria della Regina della Notte de Il flauto magico di Mozart. Bastava anche meno, senza scomodare Amadeus.
Del resto, fin dall’inizio il film è un collage di iperboli e cavolate. Liz Gilbert, scrittrice di successo, vive a New York con suo marito ma non è contenta. Anzi, è proprio in crisi. Perchè? Perchè deve trovare se stessa. Allora che fa? Una notte guarda la sua casa (fighissima), capisce che la felicità non abita più lì, lascia il marito che non ama più e decide di viaggiare per 12 lune. Facile, no? Puoi farlo anche tu, con un bel conto in banca. Ma Liz non ha queste grane, per cui sceglie in libertà le sue destinazioni: Roma, Calcutta, Bali. Figo, no? E che si fa a Roma? Si mangia. E a Calcutta? Si medita. A Bali? Beh…a Bali si bala. No, quello era Pazienza…a Bali, nel film dello stinto Ryan Murphy si incontra lo sciamano e si trova l’amore. E va beh. Sorellastra involontaria della Carrie di Sex and the City – per fortuna senza amiche al seguito – Liz non è un personaggio antipatico ma alla lunga risulta indigesta e ti verrebbe anche voglia di darle due schiaffi. Eppure la colpa non è sua. Anche se, del resto, un personaggio in crisi e sempre sorridente – no, dai qualche lacrima ci scappa – che fa amicizia con tutti e non è mai girata male può anche dare sui nervi. Ma no, la colpa non è del solare carattere della sempre solare Julia (però che condanna, quella al sorriso permanente). La colpa è delle scene in cui a Roma i ragazzi per strada toccano sederi alle signorine, delle case in centro storico senza scaldabagno, dei bar in cui c’è una gran caciara, della gente che urla per strada. Ritratto d’Italia da lasciare increduli. Ma indigesta è anche l’India con i bambini cenciosi che si lavano vicino alla vacca e con l’elefante buono che si fa toccare dalla divina Roberts. E neppure scherza Bali, tanto verde e tanto rigogliosa. Che porta a galla la natura delle cose e le pulsioni rimosse. Peccato che Liz/Julia non sia andata anche in Lapponia a strofinare nasi – scoprendo magari che fare “naso/naso” l’avvicinava alla propria essenza – in Giamaica a farsi le canne e a Buenos Aires a imparare il tango. Che è tanto sensuale. Vola via, come foglie al vento, questo filmino in cui non v’è nessuna inventiva nè alcuno slittamento inaspettato. La Lonely Planet, in confronto alla sceneggiatura, pare I tre moschettieri. Julia Roberts è bella, ma da tanti anni regala soprattutto mossine e faccette. Bardem, l’amore trovato tra un giro in bicicletta e frutti esotici, è bello e da tanti anni sappiamo pure che è bravo. Per fortuna non lo abbiamo dovuto mettere alla prova con questo film. In Mangia prega ama è poi del tutto assente un commensale fondamentale: l’ironia. Il film sembra pure prendersi sul serio, descrivendo un viaggio alla scoperta di se stessi dalla morale chiara e distinta: per vivere veramente non bisogna aver paura dei cambiamenti. Va bene. Bella idea e pure giusta. Ma la cosa più sgradevole, diciamola tutta, è un’altra: perchè la Roberts gira il mondo con una sacca in cui al massimo ci stanno tre paia di pantaloni e qualche maglietta eppure cambia abito in ogni scena (e ha sempre delle collane ben abbinate)? È Hollywood, bellezza. E se non si è troppo pignoli, il prodotto funziona e lascia in bocca il sapore delle favole. Un po’ come una settimana in un villaggio vacanze.