La cacciata dell'ad e grande padrino della banca, ora tutti i soci sono alla ricerca di una arbitro in grado di tutelare i vari interessi dei soci
Lo chiamavano Mr Arrogance, ma per restare in sella quindici anni Alessandro Profumo è riuscito nell’impresa di conciliare gli interessi diversi, e spesso contrapposti, dei suoi grandi azionisti. Facile far contenti tutti quando Unicredit girava a mille, il titolo volava e i bilanci grondavano utili. Ma poi il vento è cambiato. La turbo finanza ha fuso il motore e governare la situazione è diventato terribilmente più complicato. Soci influenti come la Fondazione Cariverona e la torinese Crt bussavano a quattrini chiedendo dividendi e lamentando il crollo delle quotazioni borsistiche.
Peggio ancora le fondazioni minori come Bologna, Reggio Emilia e Treviso, che contavano poco e guadagnavano ancora meno. I tedeschi poi, a cominciare da Allianz, si sentivano meno considerati di un tempo, mentre i soci privati da Salvatore Ligresti ai Pesenti, a Maramotti assistevano sempre più perplessi alla cura dimagrante imposta dalla Borsa ai investimenti milionari nella banca governata da Profumo. Il quale, resosi conto di aver scontentato tutti, alla fine si è rassegnato a fare le valigie accompagnato, come d’uso in questi casi tra i banchieri, da una sontuosa buonuscita. Adesso bisogna sostituirlo. E anche in fretta, perché i mercati non gradiscono le situazioni d’incertezza prolungata, come dimostra, ma potrebbe essere solo l’inizio, il pesante ribasso (meno quattro per cento) di ieri.
I grandi soci, com’è ovvio, difendono il loro investimento. Ma non solo quello. Perchéalcuni di loro grazie alla sponda di Unicredit sono riusciti a mandare a segno affari d’oro. E allora non vogliono sorprese. Il prossimo capo dovrà garantire che accordi ed equilibri del passato non vengano toccati. Si comincia da Salvatore Ligresti che, non a caso,nella concitata giornata di lunedì ha difesa fino all’ultimo l’amministratore delegato uscente. Non per niente. Il finanziere siciliano da mesi è assediato dai debiti delle sue holding di famiglia,in primis Sinergia e il principale creditore è proprio Unicredit.
A luglio, dopo lunghe trattative si è finalmente raggiunto un accordo. Ligresti respira e l’ossigeno arriva direttamente dalla banca guidata fino a un paio di giorni fa da Profumo. L’operazione che ha salvato il padrone di Fondiaria-Sai, nonché amministratore e azionista di peso di Unicredit, non è altro che un gioco di sponda ben congegnato. Sinergia vende alcune sue proprietà (Tenuta agricola Cesarina) e le vende a un’altra società di Ligresti, la Imco. Quest’ultima paga con i soldi delle banche,cioè un pool di istituti guidati da Unicredit. L’operazione vale circa 150 milioni di euro. Oplà, il gioco è fatto allora: il debito passa da una sigla all’altra e Ligresti almeno per il momento salva la situazione. Anche a Torino, alla Fondazione Crt, dove comanda l’ex democristiano Fabrizio Palenzona, non hanno intenzione di arretrare di un passo. Nelle stanze dell’ente piemontese circola un numero: meno 1,6 per cento. Sarebbe questo il rendimento annuale del loro investimento in Unicredit dal 1998, quando entrarono nel capitale dell’istituto, al 2010. Un rendimento del tutto deludente fanno capire. Vero, ma nell’ultimo anno proprio la Fondazione Crt ha concluso almeno un paio di affari che ne hanno incrementato il patrimonio e il peso politico nelle stanze dell’alta finanza nazionale.
L’ultimo della serie risale a marzo quando la Effeti, una società controllata al 49,9 per cento dai piemontesi (il resto è della holding veneta Ferak) ha rilevato il 2,26 per cento di Generali. Una quota strategicaneidelicatiequilibridel colosso assicurativo. A vendere quelle azioni è stato proprio Unicredit. Conflitto d’interessi? La domanda sembra legittima visto che si tratta di un’operazione tra una banca e un proprio azionista dirilievo.Itorinesihannosempre fatto notare che la vendita è andata in porto con un’operazione trasparente di mercato (accelerated book building, nel gergo tecnico). Vaperòsegnalatoalmenoundato di fatto: la metà del prezzo d’acquisto verrà pagata dal compratore solo nel gennaio prossimo
La banca di Profumo (a quei tempi) ha quindi fatto credito alla finanziaria partecipata dalla Fondazione Crt. Quest’ultima pochi mesi prima era riuscita a rafforzare il proprio patrimonio immobiliare ancora una volta grazie a Unicredit, che da parte sua ha realizzato oltre 150 milioni di plusvalenze. Palazzi per un valore di circa 574 sono passati dalla banca a un fondo immobiliare di cui almeno la metà delle quote sono state sottoscritte dall’istituzione torinese. Che ha una partecipazione di rilevo (circa il 25 per cento) anche nella società di gestione di questo veicolo immobiliare. Il mattone fa gola anche a Verona. L’anno scorso la Fondazione Cariverona presieduta da PaoloBiasi (a sua volta debitore di Unicredit) ha comprato sette immobili (cinque nella città scaligera e gli altri a Belluno) a un prezzo di 61,5 milioni. Chi ha venduto? Ancora Unicredit. I palazzi rendono circa il 5,25 per cento l’anno grazie ai canonid’affitto. Aversarli almeno in parte sarà ancora la banca venditrice, che in quegli immobili dispone di alcune filiali. Proprio nelle settimane in cui si è chiuso quell’affare Biasi,presidedente della fondazione, stava tentando un disperato salvataggio delle proprie aziende di famiglia. La controparte? Unicredit.
di Vittorio Malagutti
da Il Fatto quotidiano del 23 settembre 2010